Addio a Semerani, l’archistar-mito
«Un architetto e un docente come non ce ne sono più: Luciano Semerani ha formato intere generazioni di studenti e professori, a partire da un’idea più umanistica dell’architettura». Così Alberto Ferlenga, rettore dell’università Iuav di Venezia, ricorda Semerani, il noto architetto triestino mancato ieri all’ospedale di Cattinara a Trieste, all’età di 88 anni. «Era un personaggio molto curioso, non prevedibile nelle sue architetture – continua Ferlenga – una delle figure più importanti della nostra scuola e della tradizione culturale nel campo dell’architettura che Iuav ha espresso. Ha ricoperto cariche istituzionali e ha a lungo condotto il dottorato di Composizione Architettonica. È stato non solo un architetto italiano importante, ma anche un appassionato
studioso di vicende meno note della storia dell’architettura del Novecento, da Plecnik a Bo Bardi: un architetto sapiente, dentro il solco di una famiglia tutta italiana di intellettuali architetti da Giuseppe Samonà ad Aldo Rossi, e un artista». Con la collega architetta e moglie Gigetta Tamaro, Semerani progetta tra il 1965 e il 1999 numerosi edifici che hanno segnato un’epoca: dall’Ospedale e le Cliniche Universitarie di Cattinara a Trieste e il Piano per il Centro Storico di Trieste al padiglione specialistico e dipartimento d’urgenza che hanno ampliato l’Ospedale Civile a Venezia. È stato visiting professor a Vienna e a New York, nel Gestaltungbeirat di Salisburgo e responsabile scientifico della Galleria di architettura contemporanea della Fondazione Masieri a Venezia dal 1988 al 1992. Marino Folin, rettore allo Iuav dal 1991 al 2006: «Semerani è stato uno dei migliori allievi usciti dalla scuola di Giuseppe Samonà e uno dei nostri più grandi professori di composizione architettonica, protagonista per 40 anni della vita dello Iuav, è andato in pensione una quindicina di anni fa». Semerani è autore di molti saggi e articoli su «Casabella», «Controspazio», «d’A», «Hinterland», «Lotus», «Piranesi» e «Zodiac». «Era un intellettuale a tutto tondo, architetto ma anche pittore, filosofo, fu molto coinvolto nella ricostruzione in Friuli – spiega Ferlenga – . Faceva parte di quella generazione che tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nel dopoguerra, si occupava di ricostruzione culturale, non solo materiale». Alla stazione Rogers a Trieste, qualche giorno fa è stata inaugurata una mostra dedicata alle sue opere pittoriche giovanili. «Un anno fa era uscito un piccolo libro autobiografico – aggiunge Ferlenga – Il ragazzo dello Iuav, ripercorreva la storia di un rapporto indissolubile».«È mancato un grande maestro – scrive l’Ordine degli architetti di Venezia – lascia un grande vuoto, grati per i suoi insegnamenti».