«Quei venetisti agivano per lucro non per ideali»
La leader veronese tra i 26 condannati: pesanti le motivazioni dei giudici
VERONA Secondo il Tribunale che li ha condannati, i «ribelli delle imposte» che incitavano i veneti allo sciopero fiscale «erano mossi da ragioni di tornaconto economico e personale, piuttosto che da un genuino sentimento autonomista». È uno dei passaggi-chiave tratti dalle 101 pagine di motivazione in base a cui, a fine marzo, i giudici hanno pronunciato 26 condanne.
VERONA La rivolta dei venetisti contro il Fisco di uno Stato in cui sostenevano di «non riconoscersi»? I due «comitati di liberazione» che predicavano e praticavano il rifiuto di pagare le tasse in nome del «diritto dei popoli alla autodeterminazione»? In realtà, secondo il Tribunale che li ha condannati, i «ribelli delle imposte» che incitavano i veneti allo sciopero fiscale «erano mossi da ragioni di tornaconto economico e personale, piuttosto che da un genuino sentimento autonomista».
È uno dei passaggi-chiave tratti dalle 101 pagine di motivazione in base a cui, a fine marzo, il Tribunale collegiale di Vicenza presieduto dalla giudice Antonella Crea ha pronunciato 26 condanne - a oltre 52 anni e 5 mesi di reclusione totali e 2600 euro di multe - nei confronti di altrettanti imputati per aver «costituito un’associazione a delinquere che istigava alla disobbedienza fiscale, attraverso il web e incontri di propaganda in varie località, raccogliendo anche contributi». Da ogni parte della regione gli imputati: sotto accusa in aula c’erano leader e militanti del «Comitato di liberazione nazionale del Veneto» (Clnv) vicentini, trevigiani, padovani e due veronesi tra cui la leader Patrizia Badii. Per lei, già assolta dal giudice di Rovigo per l’inchiesta Tanko, il processo per la ribellione all’Erario si è chiuso il 25 marzo scorso con la condanna a 3 anni e 9 mesi nelle vesti di responsabile della Difesa del Clnv e del Gruppo Intervento Rapido.
Nelle 101 pagine di motivazione, i magistrati berici stroncano in toto la presunta «spinta idealista» e «autonomista» invocata dal Clnv. Secondo il Tribunale, al contrario, «il principio di autodeterminazione» sarebbe stato «invocato del tutto a sproposito da parte del Clnv» e «le pretese autonomiste del Comitato, le quali si giustificano con l’affermazione che il popolo veneto sia sotto “dominazione coloniale”, appaiono del tutto infondate». Per i giudici, poi, «non può sottacersi che la base giuridica sulla quale il Clnv fonda la propria ragione d’essere, ovvero l’abrogazione da parte del Decreto Calderoli della legge di annessione del Veneto allo Stato italiano, si risolve in un mero sofisma». Alla luce di ciò, si legge ancora nei motivi della sentenza di condanna, «il principio di trattenimento delle risorse, affermato nei patti internazionali allo scopo di garantire la tutela delle minoranze, è dal Clnv solo sbandierato e mai applicato. Invero - per il Tribunale - le risorse sottratte allo Stato italiano da parte dei veneti “autodetermiziano nati” non sono realmente destinate a confluire nella cassa del comitato e a perseguire gli obiettivi autonomisti, quanto a rimanere nelle tasche del contribuente veneto autodeterminato e a soddisfare un mero tornaconto: ciò è dimostrato, del resto, dal fatto che il Comitato per foraggiarsi necessitava delle libere offerte delle persone partecipanti alle riunioni e di applicare, alla strega di un qualunque Caf, precise tariffe per il servizio di assistenza fiscale prestata».
A riguardo i giudici evidenche «non si rinviene da telefonate intercettate e documentazione sequestrata un piano programmatico ampio che superi il profilo, predominante se non unico, della questione fiscale. Il vittimismo ideologico dietro cui si nasconde il gruppo è subito svelato dal dato del tradimento della stessa normativa assunta dai venetisti alla base del loro statuto». Inoltre «il fine di profitto personale è di lapalissiana evidenza» e «lo scopo di lucro permea il movimento rappresentandone la spinta ideale». Riguardo a Badii, nella motivazione le viene attribuito dai giudici «un ruolo di capo e promotore»: in aula, la leader veronese (che ha origini toscane) pur confermando di essere «membro del Clnv» ha dichiarato di «non aver mai istigato nel corso delle pubbliche serate a omettere il pagamento delle imposte allo Stato Italiano». Contro la sua e le altre 25 condanne le difese stanno presentando in
Ragioni di tornaconto economico e personale, anziché un sentimento autonomista genuino
queste ore ricorso in appello: «Nessun testimone, neppure quelli della pubblica accusa afferma l’avvocato Stefano Marchesini, che rappresenta numerosi imputati tra cui Badii - ha mai sentito i venetisti chiedere somme di denaro per lo svolgimento dell’attività del Clnv che, quindi, mai è stato usato come mezzo per il tornaconto personale ma solo per il fine ideale di difendere il diritto del popolo Veneto all’autodeterminazione sulla base dei principi e delle leggi del diritto internazionale. La sentenza sul punto è palesemente erronea ed andrà rivista mandando assolti gli imputati per tutti i reati loro contestati ed ascritti».