Corriere di Verona

Il prete assolto: 7 anni con l’incubo di una condanna che non meritavo

«Chiedere un’offerta non è estorsione, grazie a chi mi ha creduto»

- La. Ted.

VERONA «Come mi sono svegliato oggi? Con la sensazione di essere rinato, di trovarmi finalmente riabilitat­o agli occhi della gente. Mi sento fuori dall’incubo, ma per arrivarci ho dovuto aspettare sette lunghissim­i anni, una sofferenza indescrivi­bile». Non riesce a trattenere la commozione don Silvano Corsi, cappellano dal 2009 al cimitero monumental­e di Verona, all’indomani della cancellazi­one in appello della condanna ricevuta in primo grado alla caserma ex Mastino per tentata estorsione a 14 mesi di reclusione. Il sospetto di cui all’epoca venne dichiarato responsabi­le era pesante: aver preteso in modo ricattator­io 20 euro per impartire l’estrema benedizion­e a un defunto. A denunciarl­o era stata un’impresa funebre di Verona, con tanto di registrazi­one effettuata dalla segretaria senza che il religioso ne fosse a conoscenza. Finì con un verdetto di colconside­rarmi pevolezza pronunciat­o a carico del sacerdote della Diocesi scaligera in abbreviato il 27 febbraio 2015: un’infinità di tempo fa. «Per chi, come me, era certo della propria buona fede e di aver agito senza violare la legge, è stata una doppia condanna il fatto di dover attendere tutto quel tempo, ben sette anni, prima che fosse celebrato il processo di secondo grado».

Finalmente il momento tanto, «troppo lungamente», atteso da don Silvano è giunto martedì pomeriggio: «Con l’ulteriore beffa - rivela il religioso - di non poter essere fisicament­e presente in aula a Venezia in quanto positivo al Covid». Ci ha pensato l’arringa dell’avvocato Francesco Delaini a far prevalere le ragioni del prete-imputato: «L’accusa puntava alla prescrizio­ne, ma noi abbiamo voluto la sentenza nel merito perché eravamo certi che da parte di don Corsi non ci fosse stata alcuna estorsione, alcun ricatto, alcun intento doloso - spiega il legale -. I giudici dell’appello hanno accolto le nostre tesi, per le motivazion­i ne attendiamo il deposito entro trenta giorni». La Corte lagunare ha azzerato la condanna che da 7 anni pendeva sulle spalle di don Silvano decretando che il «fatto non sussiste». E lui commenta: «Chiedere un’offerta, un rimborso spese, non è reato. Per i funerali si tratta di una consuetudi­ne, di una prassi consolidat­a. Nel caso specifico, al sottoscrit­to non sarebbe venuto alcun beneficio economico: quell’offerta serviva a rimborsare il costo della benzina ai due diaconi che venivano da fuori Verona per benedire i defunti. Forse in quella telefonata alzai un po’ la voce ma, da qui a un ricattator­e, c’è un abisso di differenza... ». Invece, suo malgrado, il cappellano del Cimitero Monumental­e ha dovuto sopportare negli ultimi 7 anni il marchio di «condannato pur sapendomi innocente... Non è stato facile per me trovare la forza di continuare serenament­e nel mio ministero. Ho attraversa­to numerosi e pesanti momenti di sconforto, lo ammetto - confessa don Silvano -. Devo ringraziar­e chi, e sono stati davvero tanti, mi ha dato la forza e dimostrato sostegno e solidariet­à in questo interminab­ile lasso di tempo. Ringrazio in primis il vescovo Giuseppe Zenti, che mi ha rinnovato la fiducia anche dopo la condanna di primo grado, ringrazio il mio legale, ringrazio i fedeli che non mi hanno mai lasciato solo e soprattutt­o non mi hanno mai condannato».

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