Dante in lacrime È sopravvissuto all’orrore, ma non dimentica
Sboarina: «Una data per non dimenticare»
VERONA Era la notte del 15 agosto del 1944 al campo di prigionia Stalag XB, in Bassa Sassonia, nella Germania nord-occidentale. La minestra era andata a male, rancida, ma ai prigionieri i tedeschi la diedero lo stesso. E per quei ragazzi fu la fine, piegati e disidratati dalla dissenteria. «Li ho aiutati, ma poi non ce l’ho più fatta e crollai, sfinito nel sonno», piange Dante Farina, 98 anni, al ricordo di quella notte di settantotto anni fa: «Ne ho viste troppe», non si dà pace. Pensava, sperava, i suoi compagni di baracca dormissero al mattino; e invece erano tutti morti. Il suo è un pianto straziante che morde l’anima, ma anche un monito contro l’oblio e l’indifferenza. Perché il Giorno della Memoria è soprattutto questo. Ieri mattina alla cerimonia in Gran Guardia, Dante, che vive con moglie e figlie nella casa a Coronini tra Villafranca e Sommacampagna, ha ricevuto dalle mani del prefetto Donato Cafagna la medaglia d’onore concessa dal Capo dello Stato ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra. L’unico ancora in vita; gli altri veronesi insigniti sono tutti deceduti. A ritirare le medaglie di Giuseppe Bellomi, Pasquale Berardi, Guido Castelli, Aldo Gisolfi, Marcello Ledro, Ettore Livrieri, Rino Poli, Silvio Santi, Giuseppe Tagliapietra, Gaetano Tononi, c’erano i famigliari. Il carro delle deportazioni era come sempre al suo posto in Piazza Bra, dove stazionerà fino al 31 gennaio, e la corona di alloro deposta presso il Monumento ai Deportati sul Liston; la commemorazione si è svolta in Gran Guardia, aperta dagli interventi del sindaco Federico
Il prefetto Cafagna «L’indifferenza ci rende corresponsabili; nostro dovere è contrastare il negazionismo»
Sboarina, del prefetto Donato Cafagna e della vicepresidente della Consulta provinciale studentesca Martina Remedi. «Una data per non dimenticare - ha affermato il sindaco -. La storia continua ad insegnarci che non si può abbassare la guardia. Fare tesoro di quanto l’umanità ha già vissuto significa guardare con occhi attenti quanto ci succede attorno, intervenendo e facendo il proprio dovere affinché il futuro sia sempre migliore» ha concluso Sboarina che ha poi assegnato alla memoria di Giulietta Rossini, già Croce al merito di guerra per attività partigiana, la medaglia della città, ritirata dalla figlia Lauretta. Nel suo intervento, il prefetto Donato Cafagna ha citato il Premio Nobel per la pace Elie Wiesel che definì Auschwitz «un mostruoso buco nero», per poi lanciare un monito: «L’indifferenza ci rende corresponsabili; nostro dovere è contrastare il negazionismo e forme ancora presenti di fanatismo, suprematismo e razzismo. Questa giornata serve a innestare i rami della solidarietà e della tolleranza che producono i frutti della pace e della libertà». «Coltivare la memoria è un vaccino prezioso contro l’indifferenza», ha citato Liliana Segre, la vicepresidente della Consulta provinciale studentesca Martina Remedi; ma perché la memoria non sia fine a se stessa, deve essere traslata in conoscenza, e questo è un compito che spetta prima di tutto alla scuola. Lo ha sottolineato l’oratore ufficiale, Aldo Pavia, vicepresidente Aned nazionale e presidente dell’Aned di Roma: «È a scuola che si forma il cittadino; non è il lavoro che rende liberi, ma la cultura. E senza memoria la cultura è inutile» ha ammonito nel suo intervento, al termine del quale ha ricordato tre veronesi: Gino Spiazzi, giovane partigiano della Brigata Pierobon deportato a Flossenbürg, storico presidente della sezione Aned di Verona scomparso nel 2015; Ennio Trivellin, attuale presidente della sezione Aned di Verona, deportato a Mauthausen, del quale è stata proiettata una videointervista; e Rita Rosani, partigiana tra i fondatori della banda Aquila, ferita in uno scontro con i fascisti, catturata e uccisa da un sottotenente della Guarda Nazionale Repubblicana con un colpo alla nuca. La cerimonia si è conclusa con il canto della preghiera ebraica per le anime dei defunti El MaleRachami, a cura del cantore della Sinagoga Angel Harkatz. Per dire «mai più».