Hellas, quattro assi da calare
La stagione Pressing, velocità, attacco, intensità. Le analisi del gioco studiato da Tudor portano al poker di elementi tattici base che possono avere il volto di Tameze, Lazovic, Barak e Simeone
Dentro al laboratorio di Igor Tudor. Quali sono i pilastri del gioco dell’Hellas, lungo la strada che ha portato il Verona a conquistare 33 punti in venti partite, ad avvistare la salvezza, con una finestra socchiusa ma che si potrebbe spalancare persino su sogni d’Europa?
Tudor ha disegnato un perimetro tattico in cui spiccano dei principi chiari: pressing, velocità, attacco, intensità. Da queste fondamenta è sbocciato l’Hellas. A quindici turni dalla fine del campionato, la domanda che accompagna le analisi è in che modo il tecnico abbia declinato questi concetti, che sono risaltati subito, fin dalla prima gara con Tudor in panchina, il 19 settembre, col Verona che vinse con la Roma per 3-2 al Bentegodi. Davanti c’era una squadra in gran forma, che viaggiava a punteggio pieno in serie A e in Conference League. È evidente che da allora l’Hellas ha maturato un’identità più marcata, che il tempo ha reso più fluidi gli automatismi. Ed è altrettanto ovvio è che ci siano stati degli aggiustamenti necessari, con gli avversari che ti studiano e adottano mosse mirate per bloccarti. Ma già in quell’incontro emersero le caratteristiche che hanno guidato Tudor nel suo lavoro. Il pressing, dunque: portato a tutto campo, con feroce applicazione per non far ragionare l’altra squadra, impedendole, quindi, di costruire il gioco. Uno strumento che inizia con gli attaccanti ma che filtra attraverso l’intero assetto impostato da Tudor.
Di giornata in giornata, e in particolare da dicembre, a incarnare quest’attitudine dell’Hellas è Adrien Tameze, in grado di esprimere un dinamismo che non pare avere eguali, una dote straordinaria, questa, per togliere metri a chi c’è di fronte, limitandoperché ne il raggio d’azione, riducendone gli spazi. Pressare alto, pressare ovunque, recuperare palla presto e riproporsi immediatamente. Qui scatta la seconda colonna dell’edificiosquadra costruito da Tudor: la velocità. Il Verona corre forte, ribalta il gioco con pochi passaggi, accelera sulle fasce. Lo fa con Davide Faraoni da un lato e con Darko Lazovic dall’altro. Proprio Lazovic è stato tra i gialloblù più brillanti nel mese di gennaio: con lui a ingranare, l’Hellas vola, anche sulla sponda mancina c’è un tandem con Gianluca Caprari che sa essere dilagante. E qui si arriva al terzo perno del gioco del Verona: l’attacco. I numeri sono eloquenti, al riguardo. Con 28 gol fatti dai giocatori più impiegati nel reparto avanzato, ossia lo stesso Caprari, Barak e Simeone, l’Hellas ha statistiche da big internazionale. Il totale delle reti siglate dalla squadra dall’arrivo di Tudor è di 40, alla media di due a partita. Volendo trovare un filo conduttore per comprendere il Verona,
si può dire che i gialloblù prendono la palla con un pressing organizzatissimo e che non conosce tregua, la muovono velocemente, innescando gli esterni (o puntando sugli inserimenti) e la fanno arrivare nella zona d’attacco con diverse soluzioni che innescano poi le punte e i centrocampisti.
La costante che consente di giocare così si chiama intensità: la capacità di mantenere per lunghi periodi, durante la partita, un elevato livello atletico, insieme a una forte e continua concentrazione. Antonin Barak è ai vertici per questo determinante parametro in serie A: copre 11.35 chilometri a partita, ha segnato 8 gol con tre assist, ha tirato 43 volte. È un grande simbolo del Verona in un collettivo che, se un segreto ha, è il lavoro in allenamento. Perché è lì, giorno dopo giorno, che Tudor ha plasmato una squadra che vuole stupire ancora.