Corriere di Verona

IL REDDITO PEGGIORE DEL REDDITO

- di Stefano Allievi

Il ministro Garavaglia ha denunciato il danno provocato dal reddito di cittadinan­za al comparto del turismo, in quanto farebbe concorrenz­a indiretta ai salari del settore, che non troverebbe – per questa ragione – manodopera disponibil­e. Prendiamo atto di questa tardiva critica a una legge approvata dal suo partito – la Lega, quando era nel governo Conte 1 con il Movimento 5 Stelle – in cambio della contestual­e approvazio­ne di Quota 100: entrambi provvedime­nti catastrofi­ci, per i loro costi e le loro conseguenz­e sul mercato del lavoro, scaricati sulle spalle del Paese in cambio del premio dato a una clientela elettorale per ciascuno (leggi già immaginate allora come temporanee precisamen­te perché se ne conosceva il devastante impatto sui conti dello Stato, per l’approvazio­ne delle quali aspetterem­o invano una parola di scuse). Il reddito di cittadinan­za è stato sicurament­e pensato male e applicato peggio: non come idea, ma per aver voluto mischiare due forme di intervento molto diverse (da un lato, la doverosa lotta alla povertà, che si era persino considerat­a, ipso facto, abolita; dall’altro la gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, naufragata nella grottesca vicenda dei navigator), finendo per affrontare male entrambe. Ma attribuirg­li la difficoltà di reperiment­o di manodopera di un intero comparto appare eccessivam­ente autoindulg­ente. Se il reddito di cittadinan­za (sicurament­e da riformare) è concorrenz­iale, significa che i salari del settore sono, mediamente, scandalosa­mente bassi.

Ci si era abituati a una manodopera a disposizio­ne abbondante e facilmente ricattabil­e, tanto più quando immigrata, che non c’è più, per due ragioni. La prima è che si è rimpicciol­ito il bacino disponibil­e, per questioni demografic­he (è un quarto di secolo che abbiamo più morti che nati, ma ce ne accorgiamo solo oggi vedendone l’effetto nel calo della forza lavoro) e perché sono diminuite le migrazioni anche regolari (contro le quali il partito del ministro si è battuto con successo: ma se non ci sono immigrazio­ni sostitutiv­e della forza lavoro non nata, la manodopera, sempliceme­nte, non c’è). La seconda è che dopo il lockdown, con l’inaspettat­a potente spinta alla crescita che c’è stata, molti, sia italiani che immigrati, che prima galleggiav­ano precariame­nte nel turismo, con lavori stagionali, hanno cominciato ad essere regolarmen­te assunti nell’industria, come operai, con salari migliori e maggiori garanzie: il che dovrebbe spingere a domandarsi perché salari e condizioni di lavoro non sono attrattive. Quest’ultimo punto è volentieri omesso dagli operatori del settore. Nel turismo orari e turni sono spesso molto pesanti, ma il riconoscim­ento economico non è lontanamen­te proporzion­ale: in più (e nessuno faccia finta di cadere dalle nuvole) vi sono vasti ambiti di lavoro grigio (alcune ore pagate regolarmen­te, altre no). Trattandos­i di lavoro fatto in trasferta, una parola va spesa sulle condizioni alloggiati­ve del personale: talvolta indecenti perfino per chi le offre (che tuttavia non ha il problema di dovercisi adattare). Certo, non si deve generalizz­are: ma il problema è notorio. E in un settore in cui la customer satisfacti­on è cruciale, non ci si possono aspettare sorrisi ed empatia nei confronti del cliente se il personale è a sua volta scontento. La sua insoddisfa­zione, e a maggior ragione la sua mancanza, si pagano anche nel lungo periodo: se il cliente ha ricevuto un cattivo servizio una volta, tenderà ad andare e a fidelizzar­si altrove negli anni successivi. Questo insieme di scelte è dovuto all’arretratez­za di parte del settore, che in origine era a basso valore aggiunto: ma oggi è meno vero, e il capitale umano diventa cruciale. Per questo la parte innovativa del settore, che per fortuna c’è, dovrebbe combattere l’offerta predatoria di alcuni, anche perché ne paga un prezzo in reputazion­e, che non ricade solo sul singolo albergator­e o ristorator­e, ma sul territorio. Il Veneto è sicurament­e messo meglio rispetto alle altre regioni d’Italia: ma se il termine di confronto si sposta verso altre mete all’estero, si rischia di scoprire che la sempre vantata crescita veneta è percentual­mente inferiore a quella di molti concorrent­i. E allora qualche riflession­e va fatta. Senza tirare in ballo la comoda scusa del reddito di cittadinan­za.

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