Diego Soldà e le cave delle nuvole bianche
«La cava delle nuvole bianche». Un titolo che suona come un ossimoro, che rievoca la solidità della pietra e la fatica per estrarla dalle montagne, e insieme la leggerezza delle nuvole, perdipiù bianche, che risuonano di tutt’altra consistenza. È il titolo scelto per la mostra personale di Diego Soldà, nato ad Arzignano nel 1981, la quinta ospitata tra le mura di Atipografia, un tempo edificio artigianale, ora riconvertito all’arte contemporanea nel centro di Arzignano. Il titolo mette insieme la durezza con la poesia, in un accostamento che si rinnova a ogni opera, a partire da quelle tre palline su cui si rischia di inciampare appena varcata la soglia. «A ogni nuova mostra – spiega il curatore Luca Massimo Barbero – queste tre palline vengono rotolate nel colore, il colore dello spazio in cui vengono collocate e con cui si mimetizzano», crescendo di uno strato intorno come la corteccia di un albero, ponendosi come pietre di inciampo «per portare la riflessione e il subbuglio in un mondo di mostre fluido, dove tutto fila liscio». Allo stesso modo crescono le opere che lentamente, di strato in strato, colore sopra colore, prendono forma nello studio di Soldà a Chiampo e che, fino a domani, trovano collocazione negli spazi di Atipografia. Piccole sculture costruite a forza di strati di pittura a tempera che si sovrappongono man mano che si asciugano, frutto di un paziente lavoro di attesa e che poi, tagliate, rivelano quella «geologia del colore» di cui sono costruite. «Il gesto produce una forma – aggiunge Barbero -, la sedimentazione pittorica viene alla luce: l’opera a un certo punto si ferma, lasciando trasparire la sua fragilità dietro l’apparente solidità».