«È ora di lanciare l’Ecmo portatile su auto mediche»
Morti improvvise, la proposta del professor Gerosa. Il dottor Sarto: «Decisivo lo screening sui giovani atleti»
«Si dovrebbe predisporre l’Ecmo, il sistema di circolazione extracorporea, in forma portatile, allestendolo su auto mediche, come già accade in Francia. Dove escono a chiamata». È la proposta lanciata ieri a Padova Fiere dal professor Gino Gerosa, direttore del «Centro Gallucci» di Cardiochirurgia, nel corso della tavola rotonda sulla prevenzione delle morti improvvise in età pediatrica organizzata dalla Fondazione Ometto. È la onlus fondata da Valentina Ometto e Dino Conte, i genitori di Carlo Alberto, il piccolo atleta delle Fiamme Oro morto a 12 anni, il 25 gennaio 2022, a causa di un arresto cardiaco durante una corsa campestre. Con il «Progetto Piccolo Principe» la fondazione sta diffondendo i defibrillatori nelle scuole, nei parchi e lungo gli argini. L’Ecmo sarebbe il passaggio successivo. «Dopo aver fatto ripartire l’attività cardiaca con il defibrillatore, il paziente arriva al Pronto Soccorso e viene sottoposto a Ecmo finchè il cuore non riprende regolarmente a pompare il sangue — ha illustrato Gerosa —. Negli ultimi dieci anni a Padova la procedura è stata applicata a 1500 pazienti, il 60% dei quali è stato poi dimesso ed è potuto tornare a casa senza ricadute. Ci sono però persone già colpite da problematiche cardiache che dopo l’Ecmo vanno avviate a terapie più o meno importanti. Ma il primo intervento in Ecmo potrebbe essere avviato immediatamente se fosse la strumentazione a raggiungere sul posto il soggetto in arresto cardiocircolatorio, e non quest’ultimo a dover arrivare in ospedale».
La tavola rotonda ha completato la proiezione del cortometraggio «Il secondo tempo di Julian Ross», girato a Castelfranco, presentato alla Biennale di Venezia il 6 settembre 2022, sceneggiato dal giornalista Ernesto Milanesi e fortemente voluto dal dottor Patrizio Sarto, direttore della Medicina dello Sport dell’Usl
Marca Trevigiana, centro di rifeimento regionale. È «dedicato a tutti coloro che non hanno potuto giocare il secondo tempo». Il «secondo tempo» è quello dei ragazzi fermati in tempo dall’attività agonistica perché colpiti da malattie cardiovascolari, spesso genetiche, che potrebbero portare alla morte improvvisa. «Le riscontriamo in 3/5 ragazzi su mille fra i 7 e i 18 anni — ha spiegato Sarto — la diagnosi precoce è fondamentale ma non sempre è possibile intercettare questi casi, soprattutto dopo la scomparsa della visita di leva e della visita medica scolastica. E allora dove non arriva lo screening deve arrivare il defibrillatore».
Sarto è autore di una ricerca condotta insieme all’Università di Padova e pubblicata sulla rivista scientifica «European Heart Journal» che evidenzia i dati relativi a 22.324 atleti trevigiani tra i 7 e 18 anni sottoposti negli anni a 65.397 valutazioni mediche. Sono state salvate 69 vite. «La nostra modalità di screening differisce da quella di altri Paesi, come il Regno Unito, dove i giovani calciatori vengono sottoposti a un’unica valutazione cardiovascolare a 16 anni — ha precisato Sarto —. Da noi vengono presi in carico in giovanissima età e ripetono la valutazione ogni anno, perché ciò consente l’identificazione molto precoce di eventuali malattie cardiovascolari a rischio di morte improvvisa durante l’attività sportiva. Quando la prima valutazione non è in grado di evidenziare la patologia, risultano fondamentali i controlli successivi. Al momento della diagnosi la prima reazione dei ragazzi è la rabbia, per non poter proseguire l’attività agonistica, e anche per i genitori è un dramma. Ma noi non li abbandoniamo e anzi proponiamo a ognuno un esercizio fisico in sicurezza, adeguato alla situazione clinica».
L’obiettivo è rendere consapevoli giovani e famiglie che c’è una seconda possibilità, appunto un secondo tempo. «Spero che tutto questo possa essere utile a diffondere e a far comprendere l’importanza di sostenere la ricerca e la prevenzione sulle morti improvvise giovanili», ha detto Valentina Ometto.