Lesley Lokko: «Venezia è ibrida, aperta ai collegamenti»
Secondo la curatrice sono emersi «nuovi territori, nuove geografie»
Venezia come modello urbano ibrido, una commistione di sfide in equilibrio tra laguna e riqualificazione di zone industriali che assurge a simbolo e visione di città del futuro. È uno spazio urbano che trascende i confini, le geografie con cui siamo abituati a inscatolare il mondo e che, oltre a ospitare «Il laboratorio del futuro» alla Biennale (da domani al 26 novembre 2023), ne è l’incarnazione più lampante.
«Venezia è un incredibile esempio di città ibrida, così come molti partecipanti di questa Biennale che ho definito “practitioner” – ha sottolineato ieri la curatrice Lesley Lokko, presentando ufficialmente la 18esima Biennale Architettura al mondo dal Teatro Piccolo all’Arsenale – La città risponde molto bene ai quesiti di questa mostra e permette a una parte del globo che ha poca visibilità di essere finalmente scoperta». Lokko si è anche soffermata sui tre visti che sembrerebbero essere stati negati ad alcuni suoi collaboratori ghanesi (vedi il servizio sul Corriere della Sera): «Per la prima volta non ho parole. Ma non c’è spazio per il timore, non può diventare ciò che definisce la mostra. È troppo scontata, è storia vecchia per la maggioranza globale che è rappresentata qui».
L’esemplificazione di contaminazione reciproca tra mostra e Venezia Lokko la pone subito sotto gli occhi del visitatore, quando varca i cancelli dei Giardini. La copertura metallica che spicca sulla facciata del padiglione centrale, infatti, nasconde la sagoma del leone di San Marco intersecata alle geometrie argento e arancio. «C’è la grafica del leone, invita a cercare collegamenti» spiega Lokko. Ma soprattutto, mostra al visitatore che è lui stesso un «practitioner» che può ridisegnare i confini della realtà in cui vive. «I padiglioni nazionali, più che in altre biennali, sono in relazione stretta con la mostra – continua Lokko – nuovi territori, nuove geografie sono emerse. Qualcuno non vede l’architettura in questa esposizione, ma il problema è un altro: è la nostra comprensione a non aver affrontato finora l’architettura nel suo insieme». Di fronte a chi solleva perplessità, Lokko risponde che è proprio quella sensazione di dubbio, di sentirsi fuori posto parte dell’obiettivo di un laboratorio del futuro. Come il padiglione svizzero ha abbattuto il muro che lo separa da quello del Venezuela mutando i suoi confini, così deve fare il visitatore, non sottraendo e distruggendo le proprie conoscenze ma accrescendole, portando anche il suo punto di vista nell’opera aperta che è la mostra di Lokko.