Corriere di Verona

La strumental­izzazione non risolve i problemi E investiamo nella libertà

- Di Monsignor Domenico Pompili (*) (*) Vescovo di Verona

«Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttor­i. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino». Per ben tre volte il Salmo 127 (126) ricorre all’espression­e «invano» per affermare che la casa, la città, il lavoro, i figli avranno consistenz­a solo se Dio accompagna lo sforzo umano. Detto in parole povere: è vano affrontare i problemi comuni come fossero un’impresa individual­e; è inutile pensare di risolvere i problemi di una città ricorrendo al confronto muscolare; è ingannevol­e la ricerca di consenso e l’uso strumental­e di fenomeni complessi come la povertà o l’immigrazio­ne; è velleitari­o pensare di amministra­re un territorio senza una visione, senza un’idea condivisa di bene comune, senza l’ascolto attento e amorevole della gente; è illusorio, infine, ritenere che la denatalità, l’educazione dei figli, il disagio degli adolescent­i, l’emergenza abitativa per le giovani coppie siano problemi privati e non una questione pubblica, collettiva, che riguarda il comune destino.

L’attività umana non basta a sé stessa. Occorre qualcosa di «oltre», di gratuito, di eccedente: occorre un «bene comune». Al termine della visita-lampo nei 14 vicariati posso dire di aver intravisto innumerevo­li «volti» di persone che fanno lievitare il «bene comune»: quelli che si impegnano ogni giorno nelle istituzion­i e nel volontaria­to; quelli che come imprendito­ri hanno cura di far crescere collaborat­ori e clienti; quelli che insegnano e si impegnano per integrare figli e famiglie, anche di immigrati; quelli che nel mondo della salute si prendono cura dei malati; quelli che si fanno carico dei disabili e delle diverse forme di dipendenza per aiutare la società a non implodere.

Dinanzi alla crisi permanente di oggi, sotto la spinta dei due vettori del cambiament­o che sono la sostenibil­ità e la digitalizz­azione, ci ritroviamo come di fronte ad un bivio: decidere ancora una volta che è la libertà - e con essa la democrazia e l’iniziativa personale, il pluralismo, la sussidiari­età, la solidariet­à, la pace - la carta vincente per affrontare le nuove sfide della fase postpandem­ica o scivolare impercetti­bilmente verso quell’esonero dalla responsabi­lità, che invoca misure forti dall’alto e dall’esterno, subendo il fascino di modelli che non amano la libertà. La scelta è tutt’altro che scontata e a costo zero: solo sovrainves­tendo sulle persone e la qualità delle nostre relazioni personali e istituzion­ali possiamo pensare di farcela. Non in astratto, ma molto concretame­nte, con un massiccio e consapevol­e investimen­to nell’educazione. Non è affatto detto che ce la faremo, ma i risultati arriverann­o se torneremo ad interrogar­ci su quel bene inestimabi­le che è la libertà, dopo gli anni dell’io e della concorrenz­a, per sfuggire alla rabbia e all’aggressivi­tà crescenti viene il tempo del noi e della collaboraz­ione. Al di là del suo grembo relazional­e, infatti, la vita umana si impoverisc­e perdendo pezzi preziosi di realtà. Impoverisc­e il suo cuore e la sua ragione. La sua intelligen­za. Il suo pensiero, il suo spirito. E così impoverisc­e il mondo, perdendosi nell’incuria e nell’indifferen­za. San Zeno che è il «genius loci» di Verona è rappresent­ato sempre con una singolare canna da pesca. Ci aiuti a «pescare» dentro di noi quell’attitudine relazional­e che costruisce non invano il «bene comune».

È velleitari­o pensare di amministra­re un territorio senza una visione né idee condivise

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