Ritorno al passato
Vedi alla voce: strada. Scritto proprio così, strada, non «infrastrutture» o «mobilità» o «viabilità», come si direbbe oggi con lessico da convegno. Usa una bella parola antica e schietta, che avrebbe fatto la gioia di Meneghello, Stefano Allievi, nel suo «Dizionario del Nordest» (Ronzani), per parlare di una delle più deliziose ossessioni di chiunque viva in questo angolo d’Italia. Perché, ricorda il sociologo, docente a Padova, se il Veneto non è quello della giungla d’asfalto, metafora buona per la Milano o la Torino del boom, sicuramente è il luogo dove più che altrove l’auto ha trionfato «non come mezzo di locomozione, ma come status symbol, non a caso assurdamente pulita, lucida, possibilmente nera, in ogni caso splendente, anche quando si tratta di un Suv o di un fuoristrada nato per sporcarsi negli sterrati, e invece ridicolmente luccicante. Una protesi della persona, e di questa persino più esteticamente rilevante. Più protetta di una casa fresca di cera». E qui viene in mente intanto l’epopea allegra e ribalda delle partite Iva, i convegni anarcoidi ma brulicanti di vita dei Liberi Imprenditori Federalisti Europei; le leghe, le tentazioni secessioniste e poi le cave di ghiaia nella provincia sterminata, le Porsche parcheggiate davanti ai locali per aperitivi a Bassano, a Este, a Oderzo, a Thiene, e i nuovi veneti nelle fabbriche della Marca e del Vicentino... insomma, il ritratto solito (e solido) del nostro tardivo sviluppo. E a collegare tutti questi luoghi, geografici e mentali, alla fine, che cosa c’è, se non la strada, come grande protagonista, materiale e tangibile, della vita dei veneti? Un sociologo americano, James Q. Wilson, nel 1967 diceva che per capire Reagan bisognava capire la California del sud. E per capire la California bisognava capire i sudcaliforniani che più che al territorio badano alla proprietà; più che alla casa alla macchina: strumento di opportunità e di libertà, di emancipazione e di salvezza, nell’illusione che spostarsi significhi essere più liberi. Tornando in Veneto, sono Pedemontana e Passante i casi ultimi di strade che segnano, nello sviluppo irrinunciabile, questo territorio. Andrebbe tutto bene, se non fosse che poi ti imbatti, grazie ad Alessandro Marzo Magno, in un articolo di un giornale del 1960. «L’autostrada VeneziaMonaco potrebbe esser pronta per il ‘63». Sessant’anni. E pensi all’Alemagna di oggi, già oberata, che con lo stillicidio tipico dei nostri tempi sta venendo allargata pezzo pezzo: oggi Longarone, domani Castellavazzo, dopodomani... E quasi quasi vorresti tornare di un colpo al 1963.