Manucci, un veneziano alla corte Moghul nel ‘600
Il Rosso, il Nero e una fascinazione. Spinto dal desiderio di esplorare il mondo, si imbarcò a Venezia nel 1653, a soli 14 anni, alla volta dell’Oriente, nascosto nella stiva di una tartana. La Fondazione dell’Albero d’Oro presenta, fino al 26 novembre, «Nicolò Manucci, il Marco Polo dell’India. Un veneziano alla corte Moghul nel XVII secolo», progetto espositivo diretto da Béatrice de Reyniès, curato da Antonio Martinelli e Marco Moneta, con allestimento di Daniela Ferretti e consulenza scientifica di Piero Falchetta, che ripercorre l’avventura umana e l’atipico viaggio del veneziano Manucci (16381720), ricostruendo un mondo dal sapore perduto.
Negli ambienti del piano nobile di Palazzo Vendramin Grimani sul Canal Grande, ogni sala segna cronologicamente le diverse tappe - contestualizzate dalla presenza di mappe originali o in riproduzione - dell’itinerario di questo straordinario viaggiatore, esploratore, militare, medico, mediatore culturale. Con oggetti d’arredo e decorativi, tra piastrelle e mobili intarsiati favolosi, armi ed elementi bellici, e gli acquerelli Guido Fuga (uno degli autori di «Corto Maltese») a fare da fil rouge, va in scena una storia avvincente sulle tracce dell’avventuriero. A raccontarla è lo stesso Manucci in due manoscritti, corredati da stupefacenti miniature, che compongono la versione originale della monumentale Storia del Mogol, che narra i fasti della corte imperiale indiana e dove scorre la vita del popolo hindu con i loro rituali: il «Libro rosso» e il «Libro nero». È grazie alla collaborazione tra la Bibliothèque Nationale de France di Parigi, la Staatsbibliothek di Berlino e la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia che la mostra espone i due preziosissimi volumi e le successive trascrizioni, riunendo per la prima volta l’interno lascito di Manucci, personaggio tutto da riscoprire.
Un veneziano che combatté come artigliere al servizio del principe Dara Shukoh, figlio dell’imperatore Moghul Shah Jahan; che fu poi medico, apprendendo le nozioni di base negli ospedali di Goa e Delhi gestiti dai Frati Carmelitani e dai Padri Gesuiti, per poi diventare il dottore personale del figlio del nuovo imperatore Aurangzeb, il principe Shah Alam, che seguirà anche in battaglia. Svolse poi incarichi diplomatici per conto dei portoghesi di Goa, ma anche degli inglesi e dei francesi. Gli ultimi anni della sua vita li passerà tra Madras e Pondicherry. Morirà in India, a ottantadue anni. Mentre quell’adolescente partito dalla Laguna ritorna solo adesso nella natia Venezia, col suo bagaglio di sogni.