«Frustate e cinghiate per punirci» In aula un’intercettazione-chiave
Il papà alla sbarra dopo la denuncia dei figli: un audio potrebbe cambiare il corso del processo
«Frustate, cinghiate, percosse per educarci e punirci... Sono anni che nostro padre ci picchia per qualsiasi cosa, per un brutto voto a scuola, per la camera lasciata in disordine...».
Secondo i suoi tre figli adolescenti che lo hanno denunciato facendolo finire ora alla sbarra, incarnerebbe un autentico padre-padrone: «Per farci male non usa solo la cintura dei pantaloni, ma anche il cavo per ricaricare il telefonino...». Sotto accusa per maltrattamenti in famiglia si trova un 54enne di origini senegalesi: dopo essere stato rinviato a giudizio lo scorso gennaio dalla giudice dell’udienza preliminare Livia Magri, il processo a suo carico davanti al Tribunale collegiale di Verona si è appena aperto con un’importante novità. I giudici hanno infatti aggiornato il procedimento di un mese, fissando a maggio un’udienza-lampo in cui verrà nominato un perito per trascrivere il testo di una intercettazione ambientale i cui contenuti potrebbero cambiare il corso dell’intero processo. Nell’audio, si sentirebbe il genitore dire ai figli che «i bianchi non sono buoni» e che quindi non dovrebbero fidarsi di loro. Ma soprattutto, se le captazioni ambientali venissero confermate dalle trascrizioni dell’esperto, si udirebbe l’imputato parlare con i figli dopo aver saputo che lo avevano denunciato per maltrattamenti. Ai tre fratellini, il papà violento si sarebbe rivolto così: «Vi perdono (per averlo denunciato, ndr.), non alzerò più le mani... non ve le darò più (le botte, ndr.)...». Se avesse effettivamente detto loro così, si tratterebbe di una sorta di ammissione di colpa, quasi una confessione di fronte ad accuse gravose come macigni.
Nel pesante capo di imputazione gli si contesta infatti di aver «maltrattato a ripetizione» le due figlie e il figlio, tutti minorenni, «sistematicamente picchiandoli più volte al mese», ad esempio «ogni qualvolta a suo dire non riordinavano bene la stanza, quando non gli chiedevano il permesso preventivo per fare qualsiasi cosa, quando riportavano brutti voti a scuola, frustando il maggiore con la cinghia del pantalone, e i fratelli più piccoli col cavo della ricarica del cellulare». Uno dei ragazzini, per sottrarsi a quel regime di terrore, avrebbe perfino minacciato gesti irrimediabili, con «reiterate crisi di panico e idee autolesioniste». Al presunto padreorco il pm contesta di aver «assoggettato i tre figli a un quotidiano regime doloroso di vita», di certo si tratta una dolorosa vicenda familiare su cui dovrà esprimersi il Tribunale al termine del processo che vede l’avvocata Anastasia Righetti parte civile e la collega legale Anna Lotto nelle vesti di curatore dei minori.