Le due generazioni «Ci uniscono gli stessi valori l’unico obiettivo è fare del bene»
Franco e Stefano: «Orgoglio servire il Paese»
Un vecio e un bocia e nessuno dei due trova l’appellativo dispregiativo. «Perché dovremmo?» chiedono come se l’interlocutore fosse stato catapultato nel raduno direttamente dalla luna. Loro sono Giovanni Francesco Ganderle detto «Franco», 69 anni, e Stefano Barcarolo, 41, iscritti al gruppo di Malo della sezione di Vicenza. Il primo ha appena finito di cucinare, sotto una tenda enorme, teglie di paella che hanno sfamato 75 persone, l’altro è uno di quelli che nella notte tra sabato e domenica ha aiutato a posizionare le oltre mille transenne sul percorso della sfilata di oggi. Cosa unisce Ganderle, arruolato come soldato di leva, e Barcarolo, volontario in ferma annuale? «Il cappello alpino» rispondono. E non c’è da aggiungere altro.
Un precettato e un volontario. Cosa vi unisce?
G.: «Nessuno partiva per il militare entusiasta. Ma andava fatto e basta. Per poi essere contento dell’esperienza raccolta tra gli alpini. Ho fatto tredici mesi ma ero giovane».
B.: «Volevo essere alpino. Mio nonno combatté nella Campagna di Russia e fu 4 anni prigioniero dei sovietici. Gli Alpini mi sono sempre piaciuti per la loro storia e, una volta in congedo, per l’impegno quotidiano. Ma nel 2004 hanno sospeso la leva così sono partito volontario in ferma annuale. Ho chiesto gli Alpini e mi hanno accontentato: 8° Reggimento
Qual è il ricordo che più identifica la vostra naja?
G.: «Mi emoziono ancora a parlarne. Era il 1976 ed ero in servizio a Belluno, brigata Cadore. Ci offrimmo tutti volontari per soccorrere le popolazioni in Friuli vittime del terremoto. Restai laggiù un mese e mezzo prima del cambio. Nel male della tragedia, è stata la più bella cosa che potevamo fare. Fare del bene».
B.: «Due cose. Le amicizie. Il mio testimone di nozze e poi padrino di battesimo di uno dei miei figli ha svolto il militare con me. E io ho fatto lo stesso con lui. Il militare è un’esperienza che cementa le relazioni umane. Eppoi, arruolato nel 2004, ho partecipato con il mio reggimento all’Operazione Domino (una missione di vigilanza degli obiettivi sensibili concepita dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, ndr.). Mi sono reso utile per il mio Paese».
Spesso affiora l’idea del ritorno della leva obbligatoria sospesa esattamente vent’anni fa. Un bene o un male?
G.: «Andrebbe ripristinata per almeno sei mesi. Sembra che la gioventù oggi non percepisca nemmeno l’idea del rispetto. Pensano di essere i più bravi, i più forti, i più belli. Non hanno umiltà».
B.: «Condivido. Durante il servizio militare impari soprattutto il significato dell’adeguarsi alle regole, giuste o sbagliate che siano. I giovani oggi non sono tutti uguali, ovvio. Però manca quell’educazione che s’impara solo nello stare insieme».
Adunata a parte, cosa vi spinge a impegnare tempo e risorse nel volontariato degli Alpini?
G.: «Altruismo. Certo, le nostre famiglie sanno che ci occupa tempo ma sanno anche che per noi queste sono cose importanti».
B.: «Offrire un servizio alla comunità, gratuito, disinteressato. L’unica cosa che mi preoccupa è quando, anche per ragione anagrafiche, gli Alpini diminuiranno. Chi si impegnerà soprattutto nei piccoli paesi?».