L’ALBERO SIMBOLO DI LIBERTÀ
Fino al 25 agosto oltre 200 fotografie raccontano emancipazione e ribellione. Con l’omaggio a tre grandi scalatrici A TRIESTE «IO NON SCENDO», IMMAGINI INTIME E PRIVATE DI DONNE DAL 1870 AL 1970
Chi di noi non ha amato il personaggio di Jo March, la più celebre delle quattro sorelle al centro del romanzo «Piccole donne» di Louisa May Alcott, pubblicato nel 1868, per il suo carattere ribelle e fuori dagli schemi? Quel «maschiaccio» che s’inerpicava sul melo di fronte casa per andare a leggere era l’alter ego dell’autrice; ma anche di Katherine Hepburn - Jo in uno dei più famosi adattamenti cinematografici del libro - e lo sarà soprattutto di Simone de Beauvoir, che come Jo sente la forza liberatrice della cultura. Le donne arboree sono sempre esistite; tuttavia la matrice letteraria che ha dato impulso alla pratica del farsi fotografare arrampicate su un albero è stata il capolavoro di May Alcott.
Si fanno immortalare lassù, tra la terra e il cielo. Sono ridenti e seducenti, ingenue e forti, coraggiose, allegre e altere, da sole o in gruppo. Sono bambine, ragazze, amiche, fidanzate, mogli, giovani madri accanto a madri di altre generazioni. Il loro sguardo non è di provocazione e sfida, ma di ammiccamento e invito a salire: salire sugli alberi per cambiare il mondo. E se qualcuno richiama a tornare a terra, ancora oggi, la risposta è e deve essere una sola: «Io non scendo». S’intitola così la mostra fotografica, promossa e organizzata da ERPAC FVG – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, allestita al Magazzino delle Idee di Trieste, aperta da oggi al 25 agosto. Curata dalla giornalista e scrittrice Laura Leonelli, collezionista di fotografie anonime, l’esposizione nasce dal suo omonimo libro, edito da Postcart, dal sottotitolo «Storie di donne che salgono sugli alberi e guardano lontano».
Negli ambienti che facevano parte del complesso portuale del punto franco vecchio edificato nel 1907, magnificamente riconvertiti e ora dediti a ospitare soprattutto rassegne fotografiche, compongono la mostra oltre 200 scatti vernacolari anonimi, intimi e privati, di donne che dal 1870 al 1970 hanno scelto di farsi ritrarre in cima agli alberi. Si entra in un bosco attraverso una gigantografia di uno scatto vintage, avvolti dal canto di un usignolo - «Le réveil d’un usignol. Aubes d’Europe», registrato in Grecia dall’ornitologo francese Jean-Claude Roché - per intraprendere una passeggiata tra parole e immagini in uno spazio «altro»: uno spazio di metamorfosi.
«Per secoli - spiega la curatrice - le donne sono rimaste a terra, ai piedi degli alberi. Donne come radici, destinate a nutrire altre esistenze, padri, mariti, figli, quel maschile eternamente libero di salire su ogni cima e guardare lontano. Ma a un certo punto le donne gli alberi hanno iniziato ad abbracciarli e salendo di ramo in ramo hanno raggiunto un altro punto di vista, anche su di sé». Sfilano volti sconosciuti usciti da album di famiglia, che provengono dagli Stati Uniti e da ogni angolo d’Europa e Mediterraneo. Sfidano con grazia ed eleganza la convenzione sociale, tratteggiano la storia della battaglia dei diritti delle donne, dicono che dobbiamo farlo tutte - dobbiamo arrampicarci su una pianta – e diventano, consapevolmente o meno, simbolo di libertà ed emancipazione. Fotografie che catturano l’essenza di questa ribellione, incoraggiando a riflettere sul coraggio di sfidare le aspettative imposte dalla società. In questo viaggio le loro storie impresse si intrecciano alla voce di donne importanti come - oltre alle citate May Alcott e De Beauvoir - Cristina Sint-Truiden, Sara Orne Jewett, Voltairine de Cleyre, Anne Brigman, Astrid Lindgren, Beah E. Richards, Angela Carter, Suni Lee, le triestine Bianca di Beaco e Tiziana Weiss e l’udinese Riccarda de Eccher. Sono sante, scrittrici, filosofe, rivoluzionarie, fotografe, militanti, poetesse, imprenditrici, alpiniste. Insieme sono destini veri e di carta, battaglie culturali, ecologiste, imprenditoriali, umane. Sala dopo sala, donne che salgono sugli alberi e si passano il testimone verso un’ascesa sempre più affermata. Viene ricordata anche Alda Merini con le sue parole che sussurrano agli alberi e le sue betulle («ci sono betulle che di notte levano le loro radici, e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni») che in mostra sono di garza e pendono dal soffitto.
L’esposizione termina con l’omaggio a tre grandi sportive del territorio. Tre scalatrici, due generazioni e una città, Trieste, dove le donne sono state più libere che altrove. Come tutte le bambine irrequiete la prima arrampicata l’hanno affrontata sugli alberi, per poi farsi strada in un mondo fino ad allora ritenuto rigorosamente maschile. Tra le prime due e la terza, un’altra dedica: alle donne ucraine. Foto d’epoca che ci riportano a quell’attualità che vuole ribadire: «Io non scendo».
Per secoli le donne sono rimaste a terra. Ma ad un certo punto hanno cominciato a sfidare con grazia ogni convenzione sociale