Moser, quel trionfo all’Arena e il duello con il «Professore»
Quarant’anni fa la vittoria al Giro su Fignon nell’ultima crono Soave-Verona
L’astronave atterra sul pianeta rosa. A pilotarla è Francesco Moser. L’astronave è la sua bicicletta: ruote lenticolari, la posteriore che ha un diametro di 27 pollici, uno in più dell’anteriore. Manubrio a corna di bue. Rapporto 53x12. A ogni pedalata, lo sviluppo è di 9 metri e 25 centimetri.
Il pianeta è l’Arena di Verona, dove, il 10 giugno 1984, 40 anni fa, si chiude il Giro d’Italia, con una tappa a cronometro di 42 chilometri, con partenza da Soave. Il rosa è il colore della maglia che indosserà Moser alla fine, dopo averla strappata a Laurent Fignon. Moser è lo Sceriffo, l’uomo che per due volte, a gennaio, ha migliorato il Record dell’Ora a Città del Messico. Fignon è il Professore, il campione francese che l’anno prima ha vinto il Tour, l’erede designato dell’ancora regnante Bernard Hinault. Il duello tra Moser e Fignon è durato per l’intero Giro, ha accompagnato la calda primavera che si è schiusa e anticipa l’estate imminente. E il rosa, pensano in tanti, se lo terrà, quindi, Fignon. Sono giorni duri per l’Italia, che pure è nel pieno della spinta degli anni Ottanta: a Padova intanto, in un letto d’ospedale, colpito da un’emorragia cerebrale il 7 giugno durante un comizio in vista delle elezioni europee, sta spirando Enrico Berlinguer, il leader del Partito Comunista. Mentre il politico lotta per sopravvivere, la sfida dello Sceriffo e del Professore continua. Fignon ha trionfato sul traguardo di Arabba. Moser sembrava ormai sconfitto ma a Treviso, in volata, ha staccato un abbuono, piazzandosi terzo, e guadagnando 10 secondi. Al via da Soave, è dietro a Fignon di 1’21’’. Una voragine per molti, forse per tutti. Di sicuro non per Moser. In una giornata di magnifico sole, a splendere sulla strada che dall’Est conduce a Verona, si compie un evento sportivo destinato a entrare nella storia e, al tempo stesso, ad accendere polemiche.
Cyrille Guimard, scopritore e ds di Fignon, all’epoca di quel Giro alla Renault, alcuni anni fa, interpellato sull’esito della corsa, ha detto: «Preferisco non rispondere. Accadesse oggi si aprirebbe un processo». Da Soave, Fignon, primo in classifica, è partito nove minuti dopo Moser, secondo. A Verona, arriva 11’24’’ dopo lo
Sceriffo. Significa che il suo ritardo è stato di 2’24’’ e che è stato superato nella classifica finale per un minuto e tre secondi. Moser, all’ingresso dell’Arena, con i rilievi che lo davano in netto vantaggio e prossimo al trionfo, viene accolto da una folla adorante, da un boato che ne saluta la rimonta e la vittoria. L’entourage francese lamenterà l’interferenza degli elicotteri della tv lungo il tragitto. Guimard protesta per la bici impiegata da Moser, ritenendola non regolamentare. Fignon invece riconosce i meriti del rivale: «Ho perso contro un campione autore di un’impresa straordinaria. Io ho fatto il possibile». C’è chi paragona il successo di Moser a quello dell’Italia che ha vinto i Mondiali in Spagna nel 1982. Intanto, alle 12.45 del mattino dopo, Berlinguer si spegne.
Fignon vincerà il Giro nel 1989, un male incurabile se l’è portato via nel 2010. Moser è ancora un simbolo per questo Paese. Oggi come allora, quando Verona sognava e lui volava in bicicletta.
La grande sfida Sui 42 km da Soave a Verona, Moser staccò di 2’24” Fignon e vinse così il Giro d’Italia