La zuppa che arriva dal mare (due chef e i sapori di Corsica)
IL REPORTAGE PIOMBINO E SUVERETO
Se la cercate su Google, la troverete nei menu di soli due ristoranti: Il Garibaldi Innamorato, a Piombino, e Dal Cacini, a Suvereto. In compenso, troverete centinaia di recensioni entusiaste provenienti da tutta Italia, firmate da fiorentini o milanesi che almeno una volta hanno fatta tappa qui, in Val di Cornia, assaggiando la zuppa corsa. Un piatto di pesce povero che deve la sua fortuna al passaparola, partito ben prima dell’era dei social network, e che ha in sé molte curiosità. Una su tutte: nessuno sa quale sia la ricetta originale. Non la conoscono i due ristoratori che della zuppa hanno fatto il fiore all’occhiello del proprio menu, non la conoscono neanche i pescatori della piccola isola francese, dove la chiamano semplicemente «soupe de poisson». «È come andare per la Maremma ordinando l’acqua cotta — dice Marco Ticciati, titolare e chef del Cacini — Ogni paese ne avrà una versione diversa». Così è la zuppa corsa — anche se nel piombinese ormai è una realtà consolidata con dosi e ingredienti ben definiti.
Tutto inizia a Marsiglia, a quanto sembra, dove diverse decine di anni fa le massaie francesi decisero di tritare dopo averli cucinati tutti i piccoli pesci portati a casa dai mariti, scoprendo una minestra calda ed economica, molto utile nelle uscite invernali sui pescherecci. La ricetta impiegò poco tempo per arrivare nella vicina Corsica, dove trovò terreno fertile per le stesse ragioni. Poi, nell’inverno tra il 1984 e l’85, sull’isola arriva qualcuno. «Mia mamma ci andò in vacanza e assaggiò questa zuppa – racconta Ticciati – Ne rimase colspetto pita, così comprò un libro di ricette per provare a rifarla in casa. La nostra è una famiglia socievole e le occasioni per organizzare le cene non sono mai mancate». In questo modo, la zuppa attraversò il mare e raggiunse Piombino, dove nel 1996 Ticciati aprì Il Garibaldi Innamorato con suo fratello e con Roberto Filippeschi detto Pippo. Avevano idee nuove ri- alla ristorazione classica piombinese: nessun menu fisso, ma una carta che si aggiornava di giorno in giorno per offrire la massima freschezza. E sulla carta, non poteva mancare la zuppa corsa, con qualcosa di diverso però rispetto a quanto riportava il libro della madre. «Prevedeva di aggiungere alloro e sapori intensi, che magari da noi non si usano. Allora l’ho reinventata» spiegalo chef.
Qui nacque la ricetta piombinese. Si parte con un soffritto fatto di olio extravergine, vino bianco, cipolla e bacche di coriandolo su cui andranno adagiate, al momento giusto, le viscere e le branchie del pesce da minestra (ghiozzi, gallinella, scorfani, paraghi, trigle e così via) pulite prima, con un po’ di pomodoro; dopodiché, una volta cucinato il tutto, occorre «passare» il pesce insaporito attraverso un frullatore o attrezzi simili, per poi raccogliere la zuppa e metterla a bollire. Ma questo è un piatto che il cliente deve assemblarsi da solo. Infatti, la zuppa viene servita a tavola accompagnata da pane toscano tostato, emmental francese a scaglie e una salsa ottenuta unendo maionese fatta in casa e salsa harissa, tipica della Tunisia, perché niente mescola i sapori meglio del mare. Nel piatto dovrà essere messo il pane spalmato con la salsa e le scaglie di formaggio, su cui poi versare la zuppa. Il risultato è una garanzia.
«Da noi vengono sempre i fiorentini e ce la chiedono costantemente dalla prima volta che l’hanno assaggiata: fu un successo immediato» spiega Filippeschi. Perché se Ticciati, appena un anno dopo dall’apertura, se n’è andato da Piombino per seguire altre strade, Il Garibaldi Innamorato è rimasta la prima vera casa della zuppa corsa, anche se con qualche sfumatura differente rispetto a quella di Suvereto. Una novità che esplose come una bomba in questa valle a metà strada tra il cacciucco e la frittura. Nel ’96 la parola «virale» non aveva significato: il successo di questo piatto arrivò solo grazie al passaparola. «So che hanno provata a farla anche in un ristorante di Firenze, ma non è la stessa cosa» confida Filippeschi, che a settembre porterà il piatto all’Expo. In realtà ci sono state anche altre emulazioni. Una cuoca livornese, ad esempio, ci ha vinto un concorso, ammettendo però di non essere riuscita a riproporre in pieno gli stessi sapori. «Sì, i pesci da minestra per fare la zuppa corsa li prendono diverse persone — dicono dalla pescheria Marisa di Piombino, da cui a volte si riforniscono pure i cuochi — Ma alla fine se vuoi mangiare quella vera devi andare al ristorante».