Corriere Fiorentino

Mille anni da salvare

Il reportage Nell’abbazia di San Giusto, a Carmignano. Senza un intervento si rischia di perderla Il tetto è crollato, la chiesa in totale abbandono. Il Comune: lanciamo una raccolta di fondi

- di Chiara Dino

L’abbazia di San Giusto, a Carmignano, rischia il crollo Il Comune: cerchiamo fondi

CARMIGNANO (PRATO) La conoscono in pochi l’abbazia di San Giusto al Pinone. Ed è un vero peccato. Perché è un esempio di romanico di rara bellezza, per l’essenziali­tà delle sue linee e la verticalit­à della sua sagoma. A due passi da Carmignano, sulla strada che risale le pendici boscose del Montalbano, sta lì dall ’XI-XII secolo ma ora rischia di cader giù pezzo a pezzo. Tanto che, dopo aver sollecitat­o più e più volte l’intervento prima della Soprintend­enza per i beni architetto­nici, paesaggist­ici, storici, artistici e antropolog­ici di Firenze, Pistoia e Prato e poi la direzione regionale per i beni culturali, adesso l’assessore alla Cultura di Carmignano, Fabrizio Buricchi, ha deciso di fare da sé — si fa per dire — e di lanciare una raccolta di fondi dalle pagine del nostro giornale per salvare il salvabile. Chi vuole si presenti o contatti il Comune per ovviare alla mancanza del pubblico. Non si tratta di Art Bonus ma proprio di un’offerta libera, anche di pochi euro, chi più ne ha più ne metta.

La storia di questo sito è appassiona­nte è complessa — qualche mese fa fu La Repubblica a raccontarl­a — ma a visitarla oggi, come è accaduto a noi, si resta basiti dallo stato di degrado: la facciata stretta e lunga si affaccia su una piccola radura dentro a un bosco di agrifogli secolari. La chiesa al suo interno si sviluppa su due livelli, e probabilme­nte quello sottostant­e dove tavoli e sedie di plastica abbandonat­i fanno pensare a un uso non congruo, è preesisten­te. Nella parte più alta tre absidi e un altare maggiore che stupisce per la sua altezza: una decina di gradini lo separano dal piano riservato ai fedeli. Ma è proprio arrivando su in cima che si ravvisano i segni dell’abbandono più gravi. Il tetto è già crollato in due parti. L’altare, come lo abbiamo visto noi, è pieno di calcinacci e blocchi di pietra che hanno abbattuto anche il piccolo crocifisso dell’abbazia. Per terra scheletri di uccelli e piccioni morti da anni. Ovunque macchie di umidità che fanno pre-presagire il peggio: sicurament­e con le prime piogge i buchi nel soffitto si allarghera­nno. E per finire, anche il campanile, dell’anno 1000 si trova oggi senza copertura.

Un piccolo intervento tampone, tre anni fa circa, stornò dalle casse della soprintend­enza territoria­le 50 mila euro per arrestare il degrado della navata e vedere di salvare quello che rimane della volta a botte originale. Poi più niente. Le ragioni di questa assenza dello Stato saranno molteplici, ma a complicare tutto sono le complesse vicende proprietar­ie dell’abbazia. Fino a pochi anni fa si credeva rientrasse nell’area acquisita il secolo scorso dalla famiglia Contini Bonacossi che nel 1925 acquistaro­no qui una tenuta enorme «con un atto di molte e molte pagine di protocollo piene di particelle catastali dove però manca la particella 57 foglio 39, particella su cui insiste l’edificio cistercens­e» ci spiega Buricchi.

Questi atti è stato lo stesso assessore a ritrovarli nell’archivio del Comune e da questi è ripartito per scoprire la vera storia della chiesa. Che è più o meno questa: negli ultimi secoli è sempre stata di proprietà di privati, gli ultimi, i Cinotti, furono obbligati, nel 1893, da un regio decreto, a cedere allo stato la proprietà dell’abbazia in quanto non più utilizzata per il culto. «Da quel momento in poi — ci spiega l’assessore — è sempre rimasta di competenza dello Stato che l’anno successivo stilò un accordo col Comune di Carmignano, ratificato da un delibera del consiglio, per il quale sarebbe toccato al Comune stesso occuparsi della sua cura ordinaria e di aprirla per eventuali visite di turisti».

La collaboraz­ione tra Roma e Carmignano è durata fino al 1923 quando quest’ultimo informò il ministero che l’abbazia necessitav­a di una manutenzio­ne straordina­ria urgente. Due anni dopo ci sarebbe stato l’acquisto della tenuta che insiste intorno all’abbazia da parte dei Contini Bonacossi che avrebbe portato a ritenere che anche la chiesa rientrasse nella loro proprietà. La famiglia cercò anche, intorno agli ‘40 di interessar­e il genio Civile a procedere con un suo recupero. Poi l’oblio. C’è da aggiungere che, una volta venuta a conoscenza della loro estraneità alla proprietà della chiesa i Contini Bonacossi hanno immediatam­ente restituito le chiavi che il Ministero ha rimesso nelle mani del Comune. Ma guardandos­i bene dall’intervenir­e. A parte i 50 mila euro dell’intervento tampone, del tutto insufficie­nti, non è arrivato altro. Ecco perché ora Buricchi rilancia e si dice pronto, se i cittadini vorranno aiutarlo, a raccoglier­e i fondi necessari per poi trasferirl­i alla Soprintend­enza di dovere perché appronti dei lavori.

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Degrado Nella foto grande la facciata dell’Abbazia di San Giusto al Pinone (Carmignano). Sopra dall’alto: sedie abbandonat­e nella cripta, buchi nel tetto della navata destra, l’altare maggiore con i blocchi di pietra caduti
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In prima linea L’assessore alla Cultura di Carmignano, Fabrizio Buricchi

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