LAVORO E ABUSI, UN PO’ DI CHIAREZZA
Il rapporto di lavoro è un contratto come tanti altri contratti (locazione, trasporto, eccetera) disciplinati dal codice civile. Ovviamente è un contratto «speciale» nel senso che disciplina le prestazioni di lavoro di un soggetto rispetto ad altro, e quindi, in tutti gli ordinamenti giuridici del mondo, ha sempre meritato l’attenzione del legislatore, con norme particolari dirette prevalentemente a tutelare il cosidetto contraente più debole, ovvero il lavoratore. Cionondimeno l’ordinamento impone al lavoratore di eseguire il suo contratto di lavoro con diligenza, fedeltà, buona fede «nell’interesse dell’impresa». Da questo deriva che non sono consentiti al lavoratore abusi o elusioni rispetto ai sacrosanti diritti che il legislatore gli riconosce. Ad esempio l’abuso dello stato di malattia. Un tema che val la pena di trattare con cura, visto anche il caso dei due lavoratori in malattia licenziati alla Ansaldo Breda dopo essere stati pedinati da detective aziendali.
Quando il lavoratore si ammala o si infortuna ha tutto il diritto (ed il dovere) di curarsi adeguatamente fino alla completa guarigione (e qui, quanto alle retribuzioni soccorrono gli enti previdenziali, oltre che parzialmente, in certi casi, anche il datore). Ma ha altresì il dovere, appunto, di prendersi cura al massimo del suo stato di salute anche al fine di riprendere servizio nell’interesse dell’impresa che si trova costretta a fare a meno del suo apporto, spesso importante, nell’ambito dell’organizzazione aziendale. E quindi non può tenere condotte (durante la malattia) che possono incidere negativamente sulla sua pronta ripresa: l’azienda conta sulla sua prestazione, contrattualmente convenuta (altrimenti dovrà sostituirlo con altri, con costi aggiuntivi, straordinari, ma ancor più con incidenza negativa sull’organizzazione). Orbene si dà il caso che talora (l’uomo è debole) qualcuno possa aver abusato.
Fra i tanti ricordo il caso di una dipendente, addetta alla mensa, che si era incrinata il coccige; durante la malattia fu scoperta che, la sera, andava al circolino di quartiere a fare la cameriera ai tavoli (il giudice osservò che se poteva fare la cameriera al circolino avrebbe ben potuto tornare a lavorare; e dichiarò legittimo il licenziamento per aver leso i principi di diligenza, fedeltà, correttezza). Il presupposto, ovviamente, è la scoperta della condotta abusiva. E qui, ormai, è consolidata la giurisprudenza che consente al datore di utilizzare agenzie investigative che controllano (ovviamente all’esterno dell’abitazione) le condotte del lavoratore.
C’è una recente sentenza della Cassazione che ribadisce la legittimità degli accertamenti demandati, dal datore, ad un’agenzia investigativa ed aventi ad oggetto circostanze di fatto dirette a dimostrare l’«abuso» della malattia, o perché insussistente, o per una condotta non adeguata alla guarigione. Ed è proprio sul mancato rispetto degli obblighi contrattuali che si innestano recenti sentenze sia di Cassazione che di merito che ritengono meritevole di licenziamento il dipendente le cui reiterate assenze, comunicate all’ultimo momento ed «agganciate» a giorni di riposo, determinavano uno scarso rendimento ed una prestazione lavorativa non sufficiente e proficuamente utilizzabile per il datore, incidendo negativamente sulla produzione aziendale.Casi diversi, sì, ma sempre riferibili al concetto di abuso del diritto, istituto giuridico che informa tutto il nostro sistema giuridico, compreso il contratto di lavoro.