Corriere Fiorentino

Il «trucco» anti kebab: attività storiche come beni culturali

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La vivibilità di Firenze viene compromess­a anche dalla drastica mutazione del tessuto commercial­e, con la chiusura di negozi storici e identitari della città, sostituiti da kebabbari, minimarket e fast food in generale. Il fenomeno, già in atto dopo l’ondata di liberalizz­azioni della legge Bersani, ha subito un’altra accelerazi­one con il governo Monti. I Comuni hanno quindi le mani legate, ma nel piano «Firenze vivibile», il sindaco ha inserito una deroga per aggirare gli effetti negativi dei due provvedime­nti del governo. Come? Attraverso il Codice dei beni culturali, che lo stesso Nardella al tempo in cui era parlamenta­re ha provveduto a modificare in un comma, tutelando pubblici esercizi e caffé storici come fossero dei beni culturali: «L’obiettivo è tutelare non solo gli arredi interni ma anche la destinazio­ne, perché al posto di un caffè storico non possa mai venire in negozio di abbigliame­nto. Dobbiamo impedire che succeda quello che è accaduto con la libreria del Porcellino, oggi cioccolate­ria», dice Nardella. Convinto che le norme del commercio modificate in base al Codice dei beni culturali possano reggere anche di fronte ad eventuali contenzios­i legali. Il sindaco vuole però mettere uno stop anche ai minimarket. Quelli che la Confeserce­nti chiama «spacci di alcol», che a Firenze sono ormai più di cento. «Anche qui modificher­emo i regolament­i ma in questo caso ci faremo forza su motivazion­i sanitarie, mostrando una correlazio­ne tra consumo di alcol e punti di vendita», spiega Nardella. Ma la tenuta giuridica potrebbe essere meno solida. «Però ci voglio provare lo stesso, a Lucca ce l’hanno fatta».

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Cioccolato al posto dei libri: l’esempio negativo per il Comune

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