Corriere Fiorentino

Verde, bianco, Apuane

Al Massiccio delle Panie e al Monte Sagro: una gita lontani e vicini alle cave Valloni, enormi fratture, neve anche d’estate fino alle vie impossibil­i con le cime sgretolate

- di Enzo Fileno Carabba

Un lettore che senza esserci mai stato avesse letto tutto quello che è stato scritto sulle Alpi Apuane negli ultimi mesi difficilme­nte si sarebbe fatto un’idea chiara della situazione. Mi riferisco al dibattito sulle cave di marmo: sono una risorsa economica in equilibrio con l’ambiente o invece un modo per distrugger­e le montagne che partono sbriciolat­e e non tornano più? Le parole non sempre aiutano. Se leggo «Siamo interessat­i a preservare l’ambiente» dico «Anche io!». E se leggo: «Noi invece vogliamo preservare l’ambiente e lo sviluppo» dirò «Ma bene, certo, giusto» tutto contento, poveretto, senza capire niente riguardo al vero significat­o delle parole, che si annida nelle intenzioni di chi le pronuncia.

Attenendom­i ai miei principi, dico subito che non sarò io a fare chiarezza. Dico solo che prima di tutto è bene vederle, queste montagne, e non dal mare e neanche dalla strada. Farai quindi due gite: la prima su una montagna senza cave e l’altra su una montagna con le cave. Dato che le gite sono due e qui lo spazio è uno mi limiterò a degli accenni che poi sviluppera­i grazie al libero arbitrio e a una mappa. Per quanto riguarda la montagna senza cave propongo l’imponente massiccio delle Panie. È raro che un massiccio montuoso non venga definito imponente, del resto è uno stereotipo legato a solide ragioni. La prima volta, la parte più difficile dal punto di vista dell’orientamen­to è arrivare nel luogo in cui lasciare la macchina. Non si può dire che in questi luoghi il turismo sia agevolato in modo eccessivo. Lascerai la macchina al Piglionico, nel comune di Molazzana, in Garfagnana e da lì punterai al Rifugio Rossi (puoi anche arrivare dal mare e dal Rifugio del Freo e di questo devi essere riconoscen­te, è raro che le Apuane ti concedano una doppia opportunit­à,). Al Piglionico sei già in alto, lo sguardo abbraccia tante cose e ne è come rinnovato. C’è una cappellina in memoria dei partigiani del Gruppo Valanga, uccisi dai tedeschi nell’agosto del 1944. L’azione si svolse sul Monte Rovaio, che è sotto di te. Da quelle parti c’è anche la casa di Fosco Maraini che scrisse una poesia in cui si rivolgeva al Rovaio stesso. Sali per la faggeta, arrivi dove il paesaggio si apre, nell’ampia conca in cui sorge il Rifugio Rossi. Qua la menta ha un profumo unico perché, si racconta, Gesù Bambino dormì lungamente su questi prati, una volta che passava con i Genitori. E il cielo ha un colore bellissimo perché la Madonna fece cadere una goccia di latte, che fu raccolta da un rondine che la portò al Signore che la sparse delicatame­nte nell’azzurro. Comunque sia andata, è un luogo colorato e allegro. Da qui puoi fare molte cose: salire su una delle Panie, salire su tutte due le Panie, o (se sei esperto) salire sul Pizzo delle Saette. Insomma puoi trovare cime, valloni infernali, neve anche d’estate nel fondo delle buche, enormi fratture, pianori rocciosi scolpiti da fenomeni carsici e pieni di abissi interni. Hai rotto l’incantesim­o e sei stato ammesso in questi regni grazie a un singolare privilegio: il tuo stesso desiderio di andare. Qui puoi essere felice, se sai come farlo.

Eppure ti so inquieto, incapace di gustare la felicità, o forse felice nell’inquietudi­ne. Va bene, riparti verso Nord. Ecco che ti raccomando una montagna piena di cave: il Sagro. Ci arrivi passando da Carrara. In città c’è un cartello che dice «Centro mondiale per la predazione del marmo». Qualcuno ha fatto uno scambio di vocali? Sali e sali. Toh, un bivio. Da una parte arrivi (praticamen­te in macchina) al Rifugio Carrara.

Lì incontri il gestore, Gianni Scaffardi, ha scalato le montagne di mezzo mondo e ti può raccontare tante cose circa i segreti apuani e le sottigliez­ze dei ravaneti. Se ho capito bene, dal 1985 al 2005 è stato «prodotto» 2000 volte il marmo estratto dal 400 a. C. al 1985. Se ho capito male, resta un’accelerazi­one notevole. E più che altro per ricavarne carbonato di calcio per dentifrici, cosmetici, mangimi, sbiancanti per carta e mille altre cose, non blocchi per statue e monumenti. Ma tu vuoi farti un’idea con i tuoi occhi e allora al bivio giri per Foce di Pianza, dove lasci la macchina. E qui, che ti devo dire? Vedi «uno dei bacini marmiferi più vasti e inquietant­i». Ci vorrebbe la penna di un poeta, come diceva mia madre durante i nostri viaggi. Cave di sopra, cave di sotto, anfiteatri bianchi, boati di guerra, vie impossibil­i dove si arrampican­o camion arditi, cime sgretolate. È uno spettacolo alla Terminator, osservi più macchinari che uomini. Lo descriverò un giorno: appena troverò la penna di un poeta. La cima del Sagro (che non a caso sta per Sacro) è ancora integra e magnifica. Ci puoi salire senza difficoltà, con la bella stagione. Ne vale la pena. Narra una leggenda che Michelange­lo volesse trasformar­e il Monte Sagro in una gigantesca statua. Lo guardò per giorni e giorni per decidere come scolpirlo meglio. Poi disse: «Bene ragazzi» si alzò e tornò giù. Aveva deciso che il Sagro era perfetto così.

(3. Continua. Le precedenti puntate: 14/06 e 11/07)

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(foto: Alberto Bernardini) Sopra la camminata risalendo la Borra di Canala, una gola nella Pania della Croce; in alto a destra le cave del Monte Sagro
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Il cartello con le vocali cambiate
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Gianni Scaffardi (Rifugio Carrara)
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