Loretta dei ricami, «Ha portato Firenze nel mondo»
L’addio a Caponi. Nardella: è stata un simbolo
Gli angeli che l’accompagneranno in cielo, ci piacerebbe immaginarli con indosso le sue camicie da notte in georgette di seta e arricciate al collo. Un’immagine superba in contrasto con la cerimonia semplice e sobria scelta dalla famiglia per l’ultimo addio a Loretta Caponi, ieri nella chiesa di San Salvatore al Monte. Se ne è andata all’età di 91 anni, la regina del ricamo, la donna che dal suo atelier fiorentino in piazza degli Antinori, ha sedotto mogli di emiri e rockstar (come Madonna e Trudie Styler, la moglie di Sting), fino allo scorso dicembre quando, ancora vittoriosa sul suo cancro, ha contrattato un sontuoso corredo con una principessa araba. Grinta irriducibile fino alla fine.
Alle esequie celebrate da don Leonardo Altobelli, ci sono i figli, Lucia e Gianni, i nipoti Guido, Duccio e Tommaso e i dipendenti dello storico atelier che custodisce anche un prezioso archivio di ricami e modelli. «È scomparso un simbolo della storia di Firenze», è il cordoglio del sindaco Dario Nardella a nome della città. Piangono Loretta le sue amiche del Soroptmist club, in primis Giovanna Giusti e Mara Miniati. Ma anche Caterina Chiarelli, direttore della Galleria del Costume di Palazzo Pitti e la gioielliera Maria Grazia Cassetti. Le rende omaggio il maestro Piero Vignozzi, amico del marito di Loretta, padre dei suoi figli, il pittore Dino Caponi. Negli anni del suo matrimonio con Dino, Loretta ebbe modo di frequentare l’ambiente culturale più significativo di Firenze, tra cui Ottone Rosai, e poi Piero Bigongiari, Ungaretti e Montale con cui amava fare tardi la sera. È accanto alle spoglie del maestro Caponi, nel cimitero di San Felice a Ema, che ieri dopo le esequie è stata sepolta. Loretta era un’artista del ricamo, nella sua vita ha disegnato, cucito e ricamato importanti corredi, tra cui quello di Carlo e Diana con lo stemma della corona. Ma la sua produzione, ora gestita dalla figlia Lucia che da anni l’affiancava condividendo gusto e passione, comprende oltre ai preziosi corredi, biancheria personale da uomo e da donna e tessuti arredo per barche di lusso ispirate alla selvaggina o all’oroscopo. Amava vestire come dei lord anche i bambini, declinando per loro jabot e piegoline senza tempo. Proverbiale la tovaglia di 50 metri commissionata da un emiro e i sette corredi di sette colori diversi per una principessa e il suo bambino. Bauli indimenticabili per i dipendenti del suo atelier. Nel suo storico laboratorio in piazza Antinori è custodita la sua collezione di pizzi, stoffe antiche, abiti e fazzoletti, esemplari rarissimi che vanno dal XVII secolo agli Anni 50, messi insieme in occasione dei suoi viaggi. L’arte del ricamo l’aveva imparata da bambina, poi riscoprendosi imprenditrice aveva acquisito una clientela internazionale e blasonata. «I fiorentini — confidò una volta aprendo le braccia — non hanno la cultura del corredo».