UNA CUCINA IN DIFESA COL RISOTTO PERFETTO
Il ristorante della settimana La Contrada di Castel Monastero
«C’è posto solo alle 21. Prima c’è un tavolo solo nell’altro nostro ristorante. Ma se lei vuole mangiare nel nostro gourmet, deve aspettare le 21». Fanno i doppi turni in un ristorante con il marchio di Gordon Ramsay? Evidentemente sì. Altrimenti il tavolo o ce l’hai o non ce l’hai. Prenoto per le 21. Il ristorante è pieno. La Toscana è da sempre terreno fertile per investimenti stranieri. Soprattutto se si tratta di cucina e di vino.
Lo confesso, sono andato a visitare Castel Monastero soprattutto per provare a raccontarlo ai lettori. Non amo frequentare i ristoranti che puntano a un viaggio nel cibo all around e ritorno e soprattutto che tendono a compiacere lo straniero in cerca di un’idea di Italia, di toscanità nella fattispecie, che nemmeno ha ben chiara magari nella testa (lo straniero intendo). Mi chiedo ogni volta quale sia la linea perseguita. Sì, quale sia quel sottile e invisibile fil rouge che dovrebbe percorrere silenzioso, come un fiume carsico che compare e scompare più volte, ma che lascia comunque il segno, un menu, una cena, una carta dei vini... Sono, questi, ristoranti, che propongono una compilation di piatti che contengono i capisaldi della tradizione italiana così come la si conosce/percepisce all’estero.
Non mancano mai parole rassicuranti come pomodoro, mozzarella, piccione, manzo, ravioli, spigola, Parmigiano, Balsamico… Sono cucine che giocano di più in difesa. Questi pensieri li considero generali anche se toccano anche Castel Monastero, un posto — che dire — bellissimo, immerso nel verde dei dintorni di Castelnuovo Berardenga. Un borgo/ resort con tutto quello che serve a fare la gioia di un certo turismo.
I tavoli sono all’aperto e quando entro nel piazzale vedo una coppia (d’età) avvinghiata, lei scalza e lui con un paio di braghe corte e le Birkenstock. Stanno ballando. Lei gli passa la mano tra i capelli e lo guarda con tenerezza, lui le stringe goffamente la mano e la bacia. La musica è dal vivo. C’è una base musicale registrata che va e una cantante in abito nero con il microfono in mano che intona una serie di hit (rassicuranti anche queste) come Besame mucho, Oyo como va, I just called to say I love you, All my loving a tempo di rock’n’roll, con l’immancabile mazzata finale di Imagine. Chiunque lavori va rispettato (fra l’altro la cantante è anche brava), ma il primo pensiero che si è fatto strada nella mia mente è stato una domanda: ma la natura così bella e rigogliosa tutt’intorno e le mura di questo meraviglioso castello non si ribellano mai?
Sono al tavolo da solo. In cucina, si legge nella seconda pagina del menu (nella prima ci sono le iniziali di Gordon Ramsay, che decide solo i menu), Nello Cassese, napoletano d’origine, executive chef dal 2011, insieme al suo head chef Stelios Sakalis, vi danno il benvenuto. Arriva un piatto con cinque assaggi diversi, mozzarellina compresa. La prima cosa che assaggio. Delusione. Non pretendo una mozzarella di Vannulo, ma una dignitosa sì. D’accordo che è solo un pardi
ticolare, ma sono proprio i particolari che fanno la differenza.
Arrivano i miei piatti: «Ricordo estivo: fresella come una panzanella, bon-bon di scampi, distillato di pomodoro di San Marzano e yogurt bianco» (34 euro), un piatto di freschezza, non banale; Gazpacho freddo, astice alla plancia, pesto di fave con aggiunta (da mangiare a parte) di un parfait di parmigiano di vacche rosse tra due strati di polenta sottile (34 euro). L’astice è stracotto, al limite dello stopposo, il parmigiano è freddo di frigo e non si capisce bene cosa stia lì a dire. Il Riso acquerello, marmellata di limoni di Sorrento, carpaccio di gamberi viola, capperi e acciuga del Cantabrico (35 euro) è invece di pindarica bontà, tra cotture, consistenze e qualità della materia prima. Con il Piccione (38 euro) si torna alla normalità, ma quel riso ha lasciato un segno di gioia profonda.