Corriere Fiorentino

Gaypride sull’Arno e i «bestemmiat­ori» Ceccherini e Testa

Ceccherini e Testa, due diversi bestemmiat­ori. Tra i sodomiti della spiaggetta

- di Alberto Severi

Poi che la carità del natìo loco mi strinse – o carità di patria – ’l core, su Cecchi Gori messo in fuori gioco mi astenni da infierire, ché un rigore sarebbe stato, inflitto a porta vuota. (1) Notte passammo (ormai sol poche ore), lo duca et io colà fra i fuori quota politici “suicidi” al Club del Bosco (2) e fra i scialacqua­tor. “Testa di mòta!”, a un tratto sbottò Giani. “Riconosco ch’i’ ho fallato!”, e ‘na sonora pacca sul ceppicòn si dette. “In esto losco locale t’ho menato, porca vacca! et ho dimenticat­o che la Smart lasciai nel centro, dove mi si ammacca!” (3) Così, per ritrovare quel go-kart, prendemmo, per il centro, il diciassett­e, ad una pensilina in stil pop-art fatta dai graffitar con bombolette (o meglio sarìa dire: sputtanata). Ora lo bus già intrava in vie più strette del centro, quando il Giani una pensata pensò. “Scendiamo, lesto”, mi comanda, “qui sul lungarno, suona alla fermata!” Si scende a Torrigiani. Ed una blanda (4) scirocca pioggia dallo cielo piove, di là dalla spalletta, su una landa che dal suo letto ogne pianta rimòve. “E’ stato l’uragano, l’altra sera, che ha fatto spicinìi per ogni dove: non c’è un albero ritto, là dov’era lo Parco ch’or di rami mi s’intasa, (5) ma vedi pure qua in cotal manera la tromba d’aria fe’ tabula rasa”. Lo spazzo era una rena arida e spessa, dove le nutrie e talpe fean lor casa: già prima del tifon dovea esser “cessa”, (6) fra la spalletta e l’Arno, anch’un po’ kitsch. Era un sabbione, invaso da una ressa di non-bagnanti. Chiàmanla: “Arno Beach”... Frattanto, mischia a un infocato vento, la pioggia calda déttesi a far “plich” sovra tutto ‘l sabbion, d’un cader lento, onde la rena s’accendea, com’esca sotto focile, levando ‘l sentimento. (7) “Non m’hai certo menato qui alla pésca” fe’ al duca. “Di’ perché, dunque: non mente!” “Diròttelo. Ma guarda un po’, e rinfresca!” (8) Guardai. Supin giacea alcuna gente, ignuda, altra sedea tutta raccolta, e altra parea aver lo fòco in... mente. Quella che giva intorno era più molta, anzi una “gaia” folla, nell’arsura, che ‘l “praid” lo proclamava a gola sciolta. (9) Tremila, forse ( sei , per la Questura). “Di loro parleremo sanza ellissi”, promise ‘l buon maestro, “Ne avrò cura. Ma adesso perché qui siam fermi e fissi diròtti in brieve. Tu bestemmi, Dante?” “Cosa?! Tu hai perso il senno porcoddiss­i!” “Voleo ben dire. Eppur così pesante peccato non è smitraglia­r madonne, o rendere zoomorfo il Comandante...”. “Giusto”, fece uno tal dall’occhio insonne, con faccia di Picasso, e moccolò. “Stai zitto, Ceccherini. O mandi in panne (10)

tutto il ragionamen­to che ti fo”. Riprese bestemmiai­l Giani: ugual “E’ preghiera,ver, per noi almeno toscani un po’. Un modo quasi di menar le mani, oltre che lingua, con quel Principale, del quale pur spartiamo pesci e pani.” “Che lui però moltiplica, ‘l maiale!” Dopo la meritata botta in testa a Ceccherini, Eugèn rimise l’ale... (11) “Se Dio è pur Dea, e fassi manifesta nella Natura e nelle leggi sue, sai chi è bestemmiat­ore? Chicco Testa...” (12) Ed ecco che clarissimo mi fue perché colà ci fussimo diretti, sotto la pioggia e sabbia che laggiue cadeva assiem’ ai raggi ultraviole­tti, sanza più schermo, nell’ozon bucato, sanza più fronde d’alberi divelti, per quell’effetto-serra esagerato e quello Global Warming che ne è sorto. (13) Allor conobbi, al sol graticolat­o, disteso ad ustionarsi, come morto, un grande peccator che par non cura lo ‘ncendio, e giace dispettoso e torto. “Non è giusta né bella la Natura, né buona!” gridò quei, che ambientali­sta un tempo fu di razza pura e dura. “Rivoglio il nucleare. E niente pista ciclàbil, ma autostrade col viadotto! Il piano del paesaggio? E’ passatista.” (14) “O Capalbeo”, lo apostrofò per motto facéto Eugèn, ché a quei pensosi ombrelli pur lui a Capalbio sempre stava sotto, con Augias, Asor Rosa e coi Rutelli. (15) “Perché bestemmi ?Un dèmone ti ha tocco? Adesso il cocco dei rapaci e felli sei diventato, e prima avresti stòcco. (16) E quel gigante del voltar gabbana: “Qual io fui Chicco, tale ora son cocco”. E mentre Ceccherin nomaa “puttana”, – riprésosi dal tonfo – non so chi, né vo’ saperlo, un’altra cosa strana vid’io su quella spiaggia. E dunque lì, a cuocer sotto’ l sole un brutto neo giurando che non v’era rischio uvvì, (17) lasciammo lo caparbio Capalbeo, a andammo dove ‘l gruppo era più fitto di quei che saltellava­n col pareo. E vidi che con sabbia aveano dritto un tondo monumento, invero enorme, e“Il Meglio di Greta” v’era scritto. (18) Sibben da tempo non vedea tal forme, il riconobbi: “Quello è un lato bi” ! (19) Lo guardo,e spiro. Desto ‘l can che dorme? “Non erri, Dante. Déi saper che qui, in questa parte, Sòdoma vien detto lo spiàggion laido. E spesso il giovedì tempo vi fu, addietro qualche annetto, età dell’oro o in ogni caso lieta, che venne ad abbronzars­i un giovinetto, un tedeschino. S’appellava… Greta! La sua testa è di fin oro formata, (tu’l sai che pure io sono un esteta) d’argento il petto, e in rame lavorata parea la coscia; il ventre non saprei, che sui metalli ‘unn’ho lezion studiata. Era una lui , però er’ anche un lei: per cui lo “meglio” in Greta, non fessura di femina, altro loco...” “Ehi, ehi, ehi!”, fermai lo duca. E lui: “Sarà calura... Scusami Dante, siam gente di mondo... Quel loco è dell’amor contro-natura. E tu lo sai che quello loco è tondo”. (20)

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 ??  ?? A sinistra il sabbione dei violenti nell’illustrazi­one di Gustave Doré. Sotto la spiaggetta sull’Arno
A sinistra il sabbione dei violenti nell’illustrazi­one di Gustave Doré. Sotto la spiaggetta sull’Arno
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 ??  ?? Massimo Ceccherini
Massimo Ceccherini
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Eugenio Giani
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Chicco Testa

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