UN VIETNAM IN CLASSE: CHI DICE SÌ, CHI DICE NO
Quando si parla di scuola occorre scindere la parte strutturale da quella delle risorse umane, il nostro non è un lavoro ma una vocazione Insomma, non c’era alcuna necessità di dirigenti sceriffo I sindacati Di fatto è come se noi non esistessimo, esistono i lavoratori (in questo caso i lavoratori della scuola) che come sempre lavoreranno per arginare i danni di una nuova riforma, i bambini capiranno...
Caro direttore, sono lettrice del Corriere da oltre 40 anni. Ho cominciato a leggervi perché i miei professori mi dicevano che era l’unico quotidiano al di sopra delle parti e che mi avrebbe aiutato a imparare di più, a leggere, scrivere e far di conto. Ora ho 56 anni e da 37 insegno nella scuola superiore. Leggendo il suo recente fondo Il
Vietnam dei prof (tra l’altro con un doppio refuso: prof è un’abbreviazione e quindi va puntata; inoltre, essendo plurale, occorrevano due effe) sono certa che lei abbia scritto tanto senza dire niente, dimostrando, come tanti altri suoi colleghi, di conoscere in maniera approssimativa l’argomento «scuola» che è un ingranaggio vastissimo e delicatissimo. Non è questo che mi aspetto dallo scritto del direttore di quotidiano, se pur locale. Quando commissiona articoli ai suoi giornalisti, penso che questi verifichino eventuali notizie prima di scriverle. Sono certa che lei lo pretende, com’è giusto che sia.
Però quando Lei scrive della scuola italiana che deve equipararsi ai canoni europei, sappia che a livello didattico e organizzativo non siamo secondi a nessuno — basta controllare il sito del Miur — ma, siamo ultimi a livello stipendiale, con contratto bloccato da sei anni. La classe docente italiana può essere accusata di tutto, ma non di non avere pazienza.
Quando scrive di scuola deve scindere la parte strutturale — dove si fa ancora lezione con l’amianto sulle testa, dove i pannelli solari non funzionano, dove i muri sono in cartongesso, dove i laboratori informatici non sono dotati di depuratori d’aria o climatizzatori e dove al primo caldo si raggiungono oltre 30 gradi in classe, ma non ci sono soldi neanche per i ventilatori — da quella delle risorse umane, che presenta una molteplicità di problematiche. Ad esempio quella dell’infanzia le cui graduatorie per inserirvi i bambini sono occupate da famiglie extracomunitarie con reddito zero, ma portano i figli a scuola col Bmw, escludendo le famiglie italiane, ritenute troppo abbienti per aver diritto a delle facilitazioni, e perciò costrette a ricorrere a strutture private a 900 euro al mese.
Ma non La voglio tediare oltre con queste sciocchezze; entriamo in un altro mondo, quello del personale della scuola, maltrattato e bistrattato. Ad esempio forse lei ignora che per recuperare un po’ di soldi il Governo ha deciso di accorpare alcune classi di concorso di insegnanti creando — mi passi il termine — dei «paciughi» incredibili. Colleghi laureati in Giurisprudenza che possono insegnare in alcuni indirizzi la parte contabile, il bilancio di un’attività economica. Ma con quale competenza?
E che dire di merito e valutazione? Tutti i giorni io sono valutata dai miei studenti e il risultato è se apprendono o meno la mia lezione, se non si annoiano e se siamo in grado di entrare in empatia l’un l’altro. Perché vede, direttore, il nostro non è un lavoro ma una vocazione. È importante il sapere, ma se non sei capace di trasmetterlo ai tuoi alunni, campi quanto un gatto sull’Aurelia. Non c’era alcuna necessità di dirigenti-sceriffo, che se non pieghi il capino non sei alla loro altezza. Non mi dilungo oltre: da ciò che ho letto, lei non mi ha convinto. Anzi, mi ha fatto capire che anche lei è saltato sul carro del vincitore e spero, quanto meno, che con questa mia sia riuscita a stimolarla, a spingerla a cercare davvero la verità. Per me la scuola è un’altra cosa: conoscenza, competenza, passione e Verità. Cordialmente.
Giovanna Dascanio professoressa
Caro direttore, desidero ringraziarla per l’articolo sulla scuola di domenica sul Corriere che condivido totalmente. Cordiali saluti.
Valerio Del Nero
Caro direttore, dopo il suo recente editoriale, ci vediamo costretti a scriverle, più per esprimere il nostro immenso rammarico che per rispondere alle sue affermazioni da «libro cuore» che si contrappongono alla tanto evocata modernità e necessità di cambiamento. Il primo giorno di scuola è una data simbolica, ma sarà soprattutto l’inizio di un anno scolastico caratterizzato dall’ ingestibilità delle istituzioni della provincia. Questa sarà la realtà, dovuta non alla «Buona Scuola» ma alla recente Legge Finanziaria che taglia ancora il personale Ata impedendone la sostituzione. A Firenze mancheranno un centinaio di collaboratori scolastici che provocheranno, nelle nostre scuole, totale assenza di sorveglianza, pulizia ed assistenza ai disabili. Il rammarico sta nel non aver letto editoriali critici su questo; perché non c’è stata alcuna alzata di scudi sul fatto che in moltissimi istituti ci sarà un «custode» per turno in scuole con 2/3 piani da sorvegliare? E che dire delle scuole dell’infanzia, dove l’unico collaboratore scolastico dovrà provvedere in contemporanea ad aiutare i più piccoli nelle operazioni igieniche, alla sorveglianza, all’apertura della porta e alle necessità urgenti a supporto degli insegnanti? Senza contare l’impossibilità di sostituire amministrativi e tecnici assenti anche per lunghi periodi, quando la gestione burocratica è sempre più pressante e la tanto annunciata digitalizzazione non potrà verificarsi proprio per la mancanza di personale specializzato. Bene, caro direttore e tutto questo solo per evidenziare i danni causati da una legge che produce tagli proprio a quella scuola da lei descritta come all’ultimo posto di tutte le classifiche internazionali, senza parlare ancora di «Buona scuola». Cominciamo a parlarne, trascurando le criticità già espresse a più riprese che renderanno il sistema scolastico non più uniforme su tutto il territorio ed incapace di dare pari opportunità formative a tutti. La demonizzata assemblea vuole avviare la riflessione sulle soluzioni praticabili che siano di contrasto ai tagli e ai rischi veri dell’applicazione della legge, che se lasciata in balia di «pochi» porterà solo conflitti e non certo efficienza.
Una precisazione doverosa: le citate « assunzioni senza concorso» in realtà sono stabilizzazioni su posti già occupati da precari che hanno superato uno o più concorsi, o percorsi abilitanti equiparati. Il grave errore sta nel dividere la categoria dei precari che, a parità di titoli, si ritroveranno alcuni ad essere assunti, altri a perdere il posto di lavoro. Ogni semplificazione sull’argomento è a dir poco inopportuna. Sicuramente è più comodo accusare i sindacati di ideologismo, pregiudizi e conservatorismo, senza approfondire le loro proposte concrete, sulle quali la consigliamo di informarsi. Le nostre « soluzioni alternative » , se ascoltate, avrebbero consentito di affrontare i nodi cruciali sul piatto: valorizzazione/valutazione, formazione/professionalità e stabilizzazioni, senza soluzioni irrazionali e coinvolgendo davvero il personale. Caro direttore, il «Sindacato» non esiste di per sé, esistono i Lavoratori, in questo caso della scuola, che si impegneranno, come sempre, per arginare i danni dell’ennesima «riforma». I bambini capiranno...
P. Pisano Flc Cgil A. Velani Cisl Scuola G. Guarducci Snals Confsal S. Boccara Gilda—Unams
P. Serasini Cobas Scuola
Miopi. Sì, miopi. I sindacati della scuola e i loro sostenitori continuano a lanciare accuse che dovrebbero rivolgere a loro stessi. Perché tante delle difficoltà che la scuola italiana deve affrontare sono il frutto di un malgoverno (del tutto interessato e consapevole) di cui i sindacati sono stati spesso e volentieri la stampella principale: gestione burocratica delle risorse, assegnazione degli appalti con il sistema disastroso del massimo ribasso, compressione degli stipendi, nessuna valorizzazione del merito, sostituzione degli accessi al ruolo tramite concorso con la pratica fasulla dei corsi abilitanti. Come scrivevo domenica scorsa, vedremo sul campo se la riforma attuale darà buoni frutti o meno. Sicuramente è migliore di una paralisi in cui a muoversi sono solo le solite richieste dei sindacati: tutti dentro e subito, a prescindere da valore e capacità. Sono i rigurgiti di un’Italia bocciata dalla storia. Che vorrebbe continuare a far pagare i suoi conti alle generazioni future. In ogni caso, al di là dei torti e delle ragioni, far sciopero (senza furbescamente dichiararlo) il primo giorno di scuola è una vergogna. E non perché offende cuori deamicisiani, bensì perché dà un pessimo esempio ai ragazzi, facendogli capire che diritti e doveri non stanno sulla stessa linea, e che l’interesse di un gruppo può prevalere su quello generale. Troppo facile auto-assolversi con la certezza che i bambini poi capiranno. Capiranno che cosa? Che l’Italia è una Repubblica fondata sui pregiudizi? O sui retaggi ideologici? Si può anche andare avanti così: i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Paolo Ermini