«Noi, cristiani perseguitati e l’abbraccio di Francesco»
La fuga dalla Nigeria, l’accoglienza a Fiesole, l’incontro con il Papa
Un abbraccio, tante strette di mano. Il segno della fratellanza di Papa Francesco ieri è andato anche ai dodici migranti che risiedono dal giugno scorso al seminario di Fiesole. Giovani nigeriani, fuggiti dal loro Paese dopo le violenze che — da anni — colpiscono i cristiani come loro, pentecostali, o evangelici. Quell’abbraccio è uno dei segni che il pontefice ha voluto lasciare in una giornata importante, dedicata al lavoro, con il suo appello contro i «milioni di schiavi del lavoro anche tra i bambini» nel mondo. Un segnale chiaro nei giorni in cui infuria la polemica tra vescovi e politica, con il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, che dopo aver attaccato Beppe Grillo e Matteo Salvini, definendoli «piazzisti» per le loro posizioni sui migranti e sull’accoglienza, ha chiamato in causa anche il governo «assente» nell’emergenza.
I dodici ragazzi nigeriani sono sbarcati a Lipari lo scorso 25 aprile, dopo che il barcone nel quale viaggiavano insieme ad altri cento è stato recuperato dalla Guardia Costiera italiana. Da quel momento, è cominciato il lungo percorso che, solo dopo un mese, li ha portati a Fiesole. Sono storie di disperazione, le loro. Joel (nome di fantasia, per motivi di sicurezza) racconta di essere fuggito dalla Nigeria perché «nel mio Paese c’erano troppi problemi, uccidevano i cristiani, come me». E come suo padre, autista di autobus a Abuja, «morto in un attentato, una scena terribile» spiega Joel, e la voce gli si incrina. In Nigeria, prosegue, «sono rimasti mia madre e le mie due sorelle. Sono riuscito a sentire solo mamma». Vorrebbe riunirsi a loro, ma è difficile. Per arrivare in Italia ha dovuto prima farsi cinque giorni di viaggio nel deserto verso la Libia, poi pagare i trafficanti che preparano i barconi «quattrocento dinari, non so quanto siano in euro (circa 200, ndr) »e poi rischiare la vita, in mare. Come centinaia di migliaia di altri profughi, come le decine di migliaia che non ce l’hanno fatta e per i quali il Mediterraneo è diventato una tomba. Anche per queste ragioni Joel parla di «una grande emozione» nell’incontro del Papa.
I dodici giovani sono ora ospiti al Villaggio dell’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira, che tiene ogni anno a Castiglione della Pescaia un campo internazionale. Per questo con loro dal Papa c’erano anche Adelya Azulay, una giovane ebrea, e Marija Krivoruchko, una ragazza cattolica russa della parrocchia di Santa Caterina a San Pietroburgo. Al campo c’è anche una rappresentanza di ragazzi palestinesi e ieri, nell’Aula Paolo VI, c’era anche l’imam di Firenze e presidente delle Comunità islamiche (Ucoi) Izzeddin Elzir, salutato dal Papa assieme alla responsabile del campo, Valeria Brocchi. «Qui uniti, insieme, testimoniamo che il dialogo va avanti e che operando e pregando per la pace possiamo cercare di vincere terrorismo ed estremismi» ha commentato l’imam.
A Roma il gruppo era accompagnato dal vescovo di Fiesole, Mario Meini. «I ragazzi nigeriani non sono solo accolti in seminario ma vivono in comunità — ha spiegato Meini — e questo stile di condivisione è un grande segno di solidarietà vera». Che, in questi mesi, oltre ai corsi di italiano che tengono per i ragazzi nigeriani la mattina, lavorano con loro. Lo fanno per ristrutturare il seminario, oltre ad essere già intervenuti in una piazza di Fiesole, d’intesa con il Comune. E poi, c’è spazio anche per lo sport: al momento, la «squadra» nigeriana (undici e una riserva) si è già scontrata con una formazione del Comune di Fiesole e di Piandiscò. E infine hanno già girato diverse parrocchie della diocesi, «per raccontare la loro storia», racconta don Paolo Tarchi, che li ha accompagnati: un modo per testimoniare quanto siano importanti le parole del Papa per loro. E per gli atri 650 profughi arrivati ieri .
Dialogo interreligioso I 12 giovani residenti al seminario sono ora ospiti del campo internazionale La Pira Con loro in Vaticano anche l’imam Elzir