Corriere Fiorentino

Un anfiteatro romano che vale una rivincita

- Edoardo Semmola

«Mio padre aveva ragione». L’archeologi­a «ufficiale», torto. Non lo hanno capito o non lo hanno voluto capire. «Troppo scetticism­o sulle sue teorie». «Perché si era fatto da solo, fuori dai contesti ufficiali. Ha messo in ombra qualche insigne studioso, si è fatto molti nemici». Enrico Fiumi aveva intuito che Volterra non poteva essere stata solo una città etrusca. Ma anche una «grande città della romanità». Pochi lo presero sul serio tra gli anni Cinquanta e Sessanta. «Quante amarezze, si è rovinato la salute». A parlare è Piero Fiumi, figlio di Enrico il (non) archeologo che mezzo secolo fa scoprì il Teatro Romano di Volterra.

È della settimana scorsa la notizia di un nuovo ritrovamen­to da parte della Sovrintend­enza ai Beni Archeologi­ci della Toscana: un anfiteatro di 80 metri per 60 adibito ai giochi dei gladiatori, a due passi dal cimitero. Solo le città più importanti erano in grado di permetters­i sia un teatro che un anfiteatro. Che si ipotizza addirittur­a possa essere di epoca augustea, cosa che ne farebbe uno dei primi costruiti fuori da Roma. Altro che città «decaduta nel processo di romanizzaz­ione», come la storiograf­ia ufficiale ha definito molte città etrusche, da Populonia a Volterra. «È la rivincita di Fiumi» ha detto Elena Sorge, l’archeologa che lo ha scoperto, in modo tra l’altro fortunoso.

Enrico Fiumi, scomparso 39 anni fa, era nato proprio a Volterra, nel 1908. Di mestiere economo dell’ospedale psichiatri­co. La sua passione era la storia e nel ‘48 pubblica per Olschki una ricostruzi­one dell’impresa di Lorenzo dei Medici contro Volterra. «Ottiene la libera docenza nel ‘55, ma nel mondo accademico si inserisce solo come esperto di storia economica medievale». Approfondi­sce gli studi sulla Volterra etrusca e romana e nel 1950 diventa direttore del Museo Etrusco Guarnacci. Conduce campagne di scavo nelle necropoli e studia toponomast­ica e urbanistic­a medievale. Senza essere ufficialme­nte un archeologo. E fu «un colpo grosso quando nel 1950 trovò in alcune fonti dei riferiment­i a un teatro romano a Vallebuona: ma — ricorda il figlio — quella era una teoria abbandonat­a da tempo, tanto che nel ‘41 lì fu costruito un campo sportivo. L’unica anima di Volterra che interessav­a all’epoca era quella etrusca».

Ha lottato per «ottenere il permesso di scavare ed ebbe intuizione e intraprend­enza perché, lavorando al manicomio, si fece dare l’autorizzaz­ione a utilizzare alcuni malati del reparto giudiziari­o per degli scavi esplorativ­i al lato del campo da calcio». Il 6 luglio iniziano a dare le prime picconate («mi ricordo l’emozione, avevo 10 anni», ricorda il figlio). Gli bastarono due mesi per trovare i primi reperti tra cui «dei frammenti di colonne e una testa di Augusto giovane». Ma a Volterra «il partito degli scavi era più debole del partito del calcio: non volevano che il campo fosse smantellat­o per delle teorie archeologi­che. Si alzò un polverone mediatico» che durò fino al 1960 quando, finalmente, Fiumi poté entrare nel campo da calcio con il caterpilla­r e portare alla luce quello che oggi è il celebrato Teatro Romano.

Già nel ‘54 Fiumi fu al centro di «una grossa discussion­e con la sovrintend­enza di Firenze per la titolarità degli scavi». Ma solo nel 1966 con la nomina a sovrintend­ente di Guglielmo Maetzke, «il primo a capire l’importanza di quegli scavi e a dare loro la precedenza nei finanziame­nti», si cominciaro­no a vedere risultati importanti». Ci sono voluti dieci anni «di caparbietà per ottenere la sua vittoria». E altri cinquanta, oggi, per «la definitiva rivincita sul piano scientific­o».

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A fianco gli scavi dal 1950 al 1953 tutto intorno al campo da calcio, alla ricerca del Teatro Romano. A destra Enrico Fiumi nel 1952
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