Corriere Fiorentino

IL GRANDE VECCHIO, GRIDO DALL’ESILIO

Zeffirelli e l’ingrato popolo: lo fanno questo Archivio? Mika e il cartellone

- di Alberto Severi

Qual chi fa Minghi, tra Cocciante e l’uggia di Jovanotti, in cassa d’autoradio risuonar forte (tal che l’om s’aduggia), (1) sì lo corteo chiagnea. “Cotanto d’odio ‘ntigna Fiorenza omòfobo! E qui ‘l vocio!”, vociava un tal, issato sopra un podio. “Sul cartellon di Mika, nostro socio, pel suo concerto, un tal senza cervello vergò l’ingiuria astiosa: Mica... Frocio !” (2) Nato ne è, ragazzi, un tal bordello! Foto “viràl” su Féisbuc, gran ciattare, aschtàg su Tuìtter, e ‘l sindaco Nardello (3) che va in tivvù, contrito, a dichiarare che quella scritta, certo, l’è ribalda, ma la città coi gay sa ben trattare... “...E qui Dario scoperse l’acqua calda”, rise l’Eugèn. “Tu ve’ quanti ne sia sullo spiaggiòn, l’un l’altro a dar man salda. Fiorenza fu da sempre in sodomìa città campione, sì che, in lingua crucca, “zu florenzèn” — per antonomasì­a — significò far come toro e mucca, essendo pure un toro e un altro toro...” “Esto dimostra”, i’ fe’, “che se una zucca vuota, una sola, sfregia e dà disdoro, ciò pria facea ’na sol stupiditat­e, ma or con internét si lèva un coro...” “...che, manco a dir, ti fa pubblicita­te..” così soggiunse ‘l duca, malizioso. Et il ghéi pràid chiosò: “Soldarizàt­e!” (4) In quella, i’ ve’ arrancare podagroso, dentr’al corteo che in spiaggia si raùna, benché d’età longeva, un om famoso. Siccome uno sartor, “Sorella Luna e Frate Sol” cucì, poi gli fu figlia di sua genialitat­e e sua fortuna cotanta e di regìe cotal famiglia! (5) Tirommi ‘l Grande Vecchio la manìca, e fece un gridolin: “Qual maraviglia! Fe’ auting pure tu, Christian De Sica?” E dàgli, un’altra volta questa storia! La nappa storta già mi fu inimica nel Canto Terzo, quando, deh, con boria sbagliommi per Christiàn quell’altro fello. (6) “Son Danteee!”, spazientii, “Per la Meloria!” E quei, giù dalle nuvole, bel bello: “Chi Dante? L’Alighieri? O ‘unn’eri morto?” Stronfiai: “E Lei è qui, ser Zeffirello? “Ah-ah!... Che ti stupisci? In ogni porto il sanno. E non son “ser”, la miseriacci­a! (7) Ma solo cavaliere. E tu? Risorto?... Bravo! Tu hai fatto ben. Non ti dispiaccia se, da Corsi Gianfranco, un poco teco (8) ciatto da pari a par, se non ci impaccia di Giani la presenza. Sa’, ‘un son cieco...” mi de’ una gomitata Zeffirelli, sì forte che per poco non impreco, “mi sa che c’è del tenero, fratelli, fra voi... Per queste cose.. sono strega!” Arrossa Giani fino alli capelli, et io: “Che tenero? Ma dài, ti priega, Franchino, non son più lo stesso Dante che di diversitat­e se ne frega, bigotto, integralis­ta, intolleran­te... che mise i sodomiti in valle inferna, compreso quel Brunetto, l’insegnante che gli insegnava come l’uom s’etterna. (9) Adesso pure il papa a dubitare s’è messo su tal questio, e s’ammoderna. E dunque: chi son io per giudicare? (10) Però lasciami dir, se piace e lice: in fatto d’amoroso ragionare, io preferisco ancora la...Beatrice”. Si strinse nelle spalle, Zeffirillo, e disse: “Mah, sarà come tu dice. Però, ricorda. Scrisse san Cirillo: non ingannar te stesso e la ragione, fratello mio, se tu sei buco dillo! (11) Perché, ad esempio: ve’ lo titolone”, insistè lui, “ch’ hai dato alla gran cosa ch’hai scritto. Sì: Divina! Bel maschione, fra “Non Eugèn, l’associazio­nefu socio.un ha poco che, tutti “Bravala frali chiamaviga­y torti”,le stella!”,tante,di Quercianel­la,ammise,questa Fa-vo-lo-sa!”pur approvòdi “in Rosa”, Franco, quella, e non “Vabbe’,volto puoia parliamome: fallire “Se a segui gloriosod’altro per porto”. favore, stella, mi “Lo che dica fanno nessunun questopo’ coglie,di lei”, Archivio,‘l suo tagliai canto questoio del corto. cigno?fiore “Ma “Codestoche lo ingratoso!”, rispuosepo­poloab antico, malignocon dolore. (12) che m’ha discesesul­le palledi Fiesole come uno macigno. Fattoedsi disconvien­è ragion,si è, pel ché mio fruttaretr­a benli lazzial far, dolce nimico:sorbi fico”. “In motteggiòt­erra cieca Giani. sono “E regipoi forzitalio­tagli orbi”, troppo tu fosti, o fico dolce, e i corbi volaron calligrafi­a neri dei a troppi criticar tuoila vuota lavori...” Poi disse: “Bene ascolta qui la Nota.” E di di cine più noti, nota lessefra li un recensoril­ungo saggio in cui stroncava tai capolavori: ““AmoreUn te’ con senza Mussolini”fine” — che— mamma coraggio! mia! “Callas Forever”- bimbi, quale oltraggio! (13) “E’ sinistra”,solo una replicò bisbetica,‘l Maestrouna zia buono (dico ser Franco, non Eugenio, ovvìa) Al che gli dimandai chi fuer, chi sono li suoi compagni nel ghéi pràid fra i serci. “Lo tempo sarìa corto a tanto suono”, rispuose, “fia laudabile tacerci. E dunque tu li vedi, e non li sgama. Sappi però che molti sono chierci, e litterati grandi e di gran fama. (14) D’altronde di Fiorenza e del dintorno trade che lo grand’omo “omo” si chiama. “Omo” fuer Michelagno­lo e Pontormo , “omo” lo gran Lionardo, è risaputo; “omo” che d’omo-amanti ebbe uno stormo fu papa Leone Decimo. Assoluto “omo” fu il Poliziano. E pur ci casca, se capita, il Cellini: Benvenuto! “Omo” fu Anton Grazzini, detto “il Lasca”, “Omo” Marsil Ficino, giorno e notti, fu “omo”, o Ghibellina mia fuggiasca, quei che “Tesoro suo” raccomando­tti, il tesoruccio tuo Latin Brunetto. Chi vuol capir, capisca, giovanotti.” (15) Poi si rivolse, e disse: “Son vecchietto e ‘sto ghéi pràid non amo, nè l’adoro. Ma corro ancor, zoppino e gottosetto”. Miracolo! Mo’ parve di coloro che corrono a Verona in drappo verde per la “campagna”. E parve di costoro Salvin che vince, e non Bossi che perde. (16)

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A sinistra l’incontro di Dante con Brunetto Latini di Gustave Doré. Sotto l’ex Tribunale di San Firenze
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Jovanotti
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Franco Zeffirelli
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Mika

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