UNA DIVERSA UGUAGLIANZA
La sinistra: forse c’è, forse no, a seconda delle opinioni che si accavallano in questo periodo ferragostano. Eugenio Scalfari dichiara, nella sua corrispondenza con Giorgio Napolitano che in Italia latita: c’è un poco di destra e il resto tutto centro. Il giovane Civati, un tempo sodale dell’ex sindaco di Firenze, afferma che in quello che fa Renzi di sinistra non c’è più nulla, mentre Enrico Rossi, più realisticamente, sostiene che di sinistra è non far cadere il governo, anche se (possiamo supporre) è difficile inserirlo nella categoria di cui si discute. Fermiamoci qui e aspettiamo il seguito. Riprendiamo una delle definizioni classiche di sinistra che dall’Ottocento a Norberto Bobbio ha tracciato la distinzione con la destra: l’attenzione all’eguaglianza. Non si tratta di qualcosa che può scomparire dall’orizzonte dei partiti progressisti, socialisti, laburisti, democratici o socialdemocratici che siano. La chiusura delle tragiche esperienze del socialismo reale, la globalizzazione economica e dell’informazione, hanno imposto alla sinistra italiana una riflessione nuova non solo sulla difesa delle libertà individuali (nel passato secondarie), ma anche sulla questione ricordata. Governare la crescita economica, aumentare la ricchezza per avere risorse da utilizzare contro le diseguaglianze, non è più compito degli altri: non si redistribuisce ciò che non c’è. Per questo è caduto il tabù del merito e per questo in primo piano c’è l’eguaglianza delle opportunità. E non a caso la scuola è oggi il problema dei problemi, insieme alla modernizzazione dei rapporti di lavoro, ad una giustizia che tuteli i più deboli, alla difesa della sicurezza per i cittadini e ad un sistema istituzionale (quindi di governo) che non può restare ancorato ad un tempo lontano, seppure nobile.
Rimane una differenza sostanziale con la destra? Certo che rimane, con tutto il rispetto per il ruolo che anch’essa è destinata a svolgere. Ma c’è da porsi una domanda per quel che riguarda l’Italia: che cosa c’è di così stravolgente rispetto ai valori fondanti della sinistra europea nel tentativo che Renzi ha iniziato alcuni anni fa sulle sponde dell’Arno di riformare il sistema italiano? Con tutte le critiche possibili, se guardiamo alle riforme approvate o in discussione, niente di sostanziale, anzi. Il fatto che il Pd riesca, se ci riesce, a convincere e a spostare settori rilevante di un elettorato cosiddetto moderato, non lo fa diventare un partito di destra o di centro. Sarebbe piuttosto un partito di sinistra che vince e governa, ma questo non piace ai nostalgici della purezza dell’eterna opposizione.