La cura è anche social
L’estate accanto a chi soffre di un medico e un’infermiera Att. «Ci siamo sempre, anche a distanza»
Att e l’estate con chi soffre «Ci siamo sempre, pure con l’iPad e il cellulare»
«Quando l’ospedale dice al paziente che non c’è più niente da fare, è il momento in cui c’è più da fare». È qui che inizia il lavoro di Lorenzo Brogi e degli altri medici dell’Associaz ione Tumor i Tos c ana . «Quando il malato viene rimandato a casa i suoi bisogni esplodono: ha bisogno di un medico che lo segua e controlli i valori, di infermieri che facciano flebo, di operatori sanitari che lo lavino, di uno psicologo che parli con lui e la famiglia». A tutto questo pensa l’Att (10 dottori, 14 infermieri, 3 psicologi e cento volontari), l’associazione che assiste, sostiene e cura a domicilio pazienti colpiti da tumore, gratuitamente, ogni giorno, 24 ore su 24. Anche in estate.
«Noi ci siamo fissi. Io vado via 15 giorni ma per lei non cambia nulla» assicura Lorenzo a Pietro, un anziano paziente, durante la visita settimanale. «Noi ci vediamo tra due settimane, ma nel frattempo per qualsiasi cosa lei chiama il solito numero e le risponde un mio collega che attraverso questo “aggeggio infernale” vede la sua situazione», dice mostrando il tablet su cui è digitalizzata la cartella clinica di ogni assistito, con visite, esami, medicine. Se ha bisogno di un consiglio glielo dà per telefono, se serve una visita viene. Lei chiami, noi rispondiamo sempre».
Il cellulare di Lorenzo infatti continua a squillare. Il medico se può risponde, altrimenti richiama subito. Ha in cura 150 pazienti, ogni giorno fa dalle 7 alle 12 visite. Non di più «perché bisogna dedicare tempo alle persone», visitarli ma anche parlare con loro e i familiari. «Curare per guarire è un concetto medicalizzato, noi curiamo nel senso che ci prendiamo cura delle persone» spiega Lorenzo.
La richiesta che Lorenzo si sente fare più spesso dai pazienti è quella di non soffrire, anche all’ultimo. E lì, quando medico e paziente sono uno davanti all’altro e «si mette a nudo la verità che prima non si aveva il coraggio di affrontare», è il momento più difficile.
Martina Burberi è una delle infermiere, lavora all’Att dal 2012. «All’inizio è stato difficile perché i pazienti li accompagni alla fine, non vedi il paziente che sta bene, puoi solo fare in modo che sia tranquillo e sereno» racconta. «Ti viene da affezionarti a tutti. Ma poi impari a mettere dei filtri». La sua giornata si divide tra prelievi, medicazioni e terapie, a cui si aggiungono le urgenze. «Diventi una della famiglia. I pazienti si affidano completamente a te e ti insegnano a dare un valore diverso alla vita, ti danno la forza di aiutare gli altri. Quando vai da loro e ti raccontano che sono riusciti ad alzarsi e a mangiare seduti a tavola un piatto di pasta con i nipoti, ti senti utile».
E d’estate «quando la città si svuota e la rete di assistenza si allenta è importante per i malati sapere di poter contare su qualcuno» dice il presidente dell’Att Giuseppe Spinelli, «le persone hanno più bisogno e rispondere all’appello è doveroso».