Corriere Fiorentino

«Io, i profughi e quella doppietta»

In Italia dal ‘99, segnò una storica doppietta alla Florentia Viola Oggi fa il broker a Massa

- Di Francesco Caremani

«Sole sul tetto dei palazzi in costruzion­e, sole che batte sul campo di pallone e terra e polvere che tira vento e poi magari piove». Non piovve quel giorno a Lattakia (la più importante città portuale della Siria) ma accadde che Chadi Cheikh Merai, terzo di quattro figli e maschio più piccolo, giocasse un torneo di calcio sulla strada, sotto gli occhi dei genitori che lo scrutavano dal balcone. Una sfida fra quartieri, tra ragazzi di dodici, quattordic­i anni, solo che lui ne aveva solamente sette e volava, volava sull’asfalto segnando gol importanti: «Alla fine — ricorda Chadi, primo siriano ad aver giocato nei campionati profession­istici italiani — mi hanno preso sulle spalle gridando il mio nome. Ero intimidito e non sapevo cosa mi avrebbe detto mio padre. Mentre mia mamma piangeva mi chiese il perché di quelle scene: “Perché ho segnato”, “Allora sei bravo” rispose. Quel giorno crebbe dentro di me una grande forza».

Chadi Cheikh Merai, per tutti Chadi, è nato a Lattakia, in Siria, il 20 gennaio 1976, è in Italia dal ’99, ha preso la cittadinan­za nel 2003 e dopo una bella carriera spesa tra serie D e C1, come centrocamp­ista, è diventato broker nel settore lapideo: «Avevo vinto la Syrian Premier League col Tishreen e avendo solo vent’anni sono stato convocato nell’Under 21. Nel 1996 ero in ritiro con la Nazionale e, nell’hotel che ci ospitava, ho fatto amicizia con una famiglia di Rignano sull’Arno». L’incontro di una vita, Renzo Casaglia era presidente del San Clemente e quando Chadi nel ’99 gli telefona dalla Francia, dov’era arrivato con un visto di tre mesi per tentare l’avventura in una squadra europea, lo invita in Toscana: «Devo tutto a Renzo, a sua moglie, a sua figlia, tutto quello che ho fatto e che sono diventato», ripete con un guizzo negli occhi.

In tasca 600 dollari e tanta voglia di sfondare, due mesi di prova con l’Empoli matematica­mente retrocesso in B e poi a San Gimignano il secondo colpo di fulmine. Paolo Indiani, uno degli allenatori più preparati del panorama nazionale: «Uno scienziato del calcio, un tecnico vero, che sa insegnare, inizialmen­te mi faceva giocare sulla trequarti, dopo davanti alla difesa». Ma la fama arriva qualche anno più tardi, in una stagione difficile, per la precisione il 27 ottobre del 2002: «A Grosseto cominciò in salita, Indiani aveva contro il presidente Camilli, io mi ero infortunat­o a inizio campionato, ma prima di giocare contro la Fiorentina mi chiede se me la sento. Gioco e segno due gol». Era la Florentia Viola, l’anno della C2, quelle reti certifican­o l’esonero di Vierchowod e i rignanesi sfottono bonariamen­te Chadi: «Via il siriano da Rignano», per poi ringraziar­lo della sveglia. Alle spalle la famiglia, la patria, i parenti, le abitudini e anche una fidanzata che non voleva lasciare la Siria: «Ero passato da una città di 800.000 abitanti a un paese di 4.000, da partite con 20.000 spettatori a quelle con famiglie e fidanzate, ma è sull’Arno che sono cresciuto, che ho imparato l’italiano, senza dimenticar­e che avevo scelto l’Italia non Malta, la serie A era il campionato più forte del mondo e la Nazionale italiana non si discuteva. Oggi il problema più grosso sono i presidenti che non fanno lavorare in pace gli allenatori».

Poggibonsi, Montevarch­i, Massese, Spal, Lucchese, Carrarese e Pietrasant­a Marina le altre squadre, mettendo in bacheca una Supercoppa di Lega e tre campionati di C2, uno scudetto Dilettanti e tre tornei di Cnd. Un vincente, forte come il marmo, materiale tanto desiderato nei Paesi arabi e commerciat­o a Massa anche da famiglie siriane arrivate negli anni Settanta e Ottanta. Suo padre invece lavorava nell’edilizia ma una truffa l’ha lasciato senza lavoro. Oggi vive con la moglie ad Alessandri­a, pure la sorella insieme al marito è andata in Egitto, mentre un fratello lavora nelle confezioni a Prato da una decina d’anni e l’altro è scappato in Belgio con moglie e figlie, dove continua a fare il parrucchie­re: «La mia città è rimasta sotto il regime di Assad e non ci sono più giovani perché la polizia li cerca, chiede i documenti e li arruola senza nemmeno permetterg­li di avvertire le famiglie».

Oggi Chadi ha una compagna, Eleonora, massese, e Gabriel che a novembre compirà due anni. Insieme vivono a Marina di Massa: «Sono orgoglioso di avere preso la cittadinan­za, di sentirmi parte di questo Paese, ma alla fine sono un cittadino del mondo, sempre in movimento, qui ho solo conoscenti perché in tutti questi anni ho giocato e lavorato, cercando di costruirmi una famiglia e aiutando economicam­ente quella di origine, senza tempo per il resto, come dico sempre di me stesso: “Meglio concreto che bello” » . In testa ancora l’immagine di Aylan, il piccolo siriano raccolto esanime sulle spiagge turche, ma anche lo sgomento per tanta disinforma­zione: «Ciò che ha scatenato quella fotografia dimostra che nel mondo c’è ancora una speranza, ma voi della Siria sapete solo il cinque per cento. Il regime di Assad, padre e figlio, è stato sanguinari­o, sono morti 400.000 siriani, alcuni bombardati con bombe chimiche, poi è arrivato l’Isis, ma la guerra che ha distrutto oltre il settanta per cento del mio Paese è nata altrove. Hanno ucciso anziani, donne e bambini e se 25.000 persone scappano picchiate e torturate per andare a piedi dalla Sicilia alla Germania vuol dire che non hanno un’altra scelta». Nel frattempo Chadi ha fatto l’allenatore, sempre col Pietrasant­a Marina, dopo aver preso il patentino, per dare una mano a un gruppo di giovani che lo guardavano con riverenza: «Oggi mi piacerebbe lavorare con gli Esordienti, è a quell’età che si forgia un calciatore, se poi non sfondano pazienza, hanno fatto sport, tutti dovrebbero farlo e a qualsiasi età, per me è stato il calcio».

Adora il cibo toscano, meno quello emiliano, ed è musulmano anche se il Ramadan col pallone si concilia male: «Più che l’astinenza dal bere e dal mangiare prima del tramonto dovrebbe essere una purificazi­one interna, un rifuggire i cattivi pensieri». Crede nel bene e nella vita fatta di piccoli progetti, senza mai arrendersi, come nel migliore dna siriano. Ma chi è oggi Chadi Cheikh Merai? «Non lo so, perché se penso a chi sono mi fermo». «Vivo la mia vita, non vengo a dirti come vivere la tua» è un po’ il motto di Chadi che però non si è mai fermato davanti alle difficoltà. Determinat­o, ha una carattere forte e una testa dura, proprio come il marmo che lo circonda, altrimenti non avrebbe potuto affrontare sacrifici e rinunce per realizzare il sogno di giocare a calcio in Italia, senza scordare da dov’è venuto: «Essere buoni è difficile, essere cattivi è troppo facile, invece la bontà è la vera forza».

Devo tutto a Renzo Casagli, presidente del San Clemente, alla sua famiglia, a Rignano E a quella telefonata in cui mi chiamò a giocare in Toscana Indiani è uno scienziato del calcio Oggi i presidenti purtroppo non fanno lavorare gli allenatori Orgoglioso di essere diventato cittadino italiano

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 ??  ?? Centrocamp­ista Chadi Cheikh Merai con una delle ultime maglie indossate, quella del Montevarch­i
Centrocamp­ista Chadi Cheikh Merai con una delle ultime maglie indossate, quella del Montevarch­i
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In patria Chadi in Siria ai tempi degli esordi, poi 16 anni fa l’arrivo in Italia
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