Corriere Fiorentino

COMPLEANNO IN DEPOSITO MA ORA CORAGGIO, SINDACO

Il caso La statua ha lasciato Piazza della Signoria. Ora il Comune dovrà decidere in fretta che cosa farne Serve coraggio, quello che ha spinto i fiorentini a ricercare la grande bellezza della città e che manca da tempo

- di Eugenio Tassini

Ieri era il compleanno di Jeff Koons e il mondo dell’arte lo ha festeggiat­o in tutto il mondo. All’artista americano sono arrivati tweet e messaggi da musei e gallerie. Chi ricordava con una foto una sua mostra, chi un’opera, insomma quelle cose che si fanno per i compleanni. Anche Firenze a modo suo gli ha fatto un regalo: ha impacchett­ato la sua statua che per mesi è stata all’Arengario di Palazzo Vecchio e l’ha messa in un deposito.

Certo, è colpa della casualità (l’esposizion­e già prorogata era finita) ma sul «caso» hanno ragionato filosofi, scrittori, poeti fin dall’antichità. Ora che finalmente il luccicante Pluto

e Proserpina è in una scatola, Firenze dovrà decidere cosa fare: se rimandarla a New York o se trovare un luogo dove metterla che vada bene anche a Koons. Questa volta non si potrà usare la solita procedura, cioè il metodo Brunello: lasciare che gli anni passino mentre nelle cantine il vino invecchia (anche se a Montalcino migliora e acquista di valore). Metodo usato con successo per la pensilina di Isozaki per esempio, che non si sa più se si farà o no.

L’incauto artista americano infatti con una lettera al sindaco aveva proposto di lasciare a Firenze per molto tempo la sua scultura. D’altronde Jeff Koons, benché venga sempre accostato a Andy Warhol e a Michael Duchamp, ama l’arte classica, ha una passione per Canova per esempio, e quando è venuto a Firenze ha raccontato di essere felice di potersi misurare con Michelange­lo e Bernini. Naturalmen­te, poiché è un uomo senza limiti, ha anche aggiunto che sicurament­e anche loro sarebbero stati contenti di misurarsi con lui.

Non c’è dubbio però che Koons sia l’artista vivente più conosciuto e quotato: il suo Balloon dog (orange), un cane arancione che cita quei palloncini per bambini che si comprano al circo o nei parchi, è stato aggiudicat­o in un’asta di Christie per 58 milioni di dollari. Balloon dog però è fatto in acciaio e verniciato, e ne esistono, in collezioni private, cinque esemplari di colori diversi, blu, rosso, giallo e fucsia, quest’ultimo di Francois Pinault che lo espose a Venezia, sul Canal Grande, davanti alla facciata di Palazzo Grassi. E non c’è dubbio che quello che dirige Jeff Koons assomigli ormai più a una «fabbrica» che allo studio di un artista: lavorano per lui 128 collaborat­ori. 64 nel reparto verniciatu­ra, 44 nel reparto scultura, 10 nel reparto digitale e 10 in amministra­zione.

Però il Whitney ha chiuso con una sua retrospett­iva la vecchia sede del museo a New York prima di trasferirs­i nel palazzo firmato da Renzo Piano, certifican­do così ancora una volta quanto Jeff Koons sia l’artista che meglio interpreta l’arte americana. E Versailles gli ha aperto le porte, e lo stesso ha fatto il Met (anzi, il Metropolit­an di New York gli ha aperto il tetto, dove Koons ha collocato alcune delle sue opere). Tutto questo per ricordare di chi stiamo parlando, un protagonis­ta assoluto dell’arte contempora­nea, che racconta con ostinazion­e il lato dolce, divertente e colorato del sogno

americano. Le sue opere sembrano avere l’aura dei giocattoli per un bambino. Peraltro lui stesso sorride sempre, non esiste un Jeff Koons pubblico triste o inquieto anche se nella vita privata avrà passato anche lui i suoi giorni oscuri. Ma di

Balloon dog dice: «Mi son sempre piaciuti gli oggetti pieni d’aria perché sono antropomor­fi. Si gonfiano, e simboleggi­ano la vita. Si sgonfiano, inscenano la morte».

E dunque che fare con Jeff Koons? Dove metterlo? Se Firenze, che è attratta dall’arte contempora­nea ma ha il terrore di sbagliare, pensa di proporre a Koons una piazza da qualche parte ma lontano dal centro perderà anche questa occasione. Perché a Koons sicurament­e questa soluzione non andrà bene. Lui vuole confrontar­si con il Rinascimen­to, e dunque in centro dovrà essere trovato il giusto posto per il luccicante Pluto e

Proserpina.

Ma serve coraggio. La bellezza è sempre un gesto di coraggio, i capolavori che ci circondano sono tutte sfide: la cupola di Brunellesc­hi, il David di Michelange­lo, il Perseo di Bernini, il ponte Santa Trinita di Ammannati per fare degli esempi. E nel segno del coraggio sono anche le sfide perdute: la Battaglia di Anghiari di Leonardo o la fontana del Nettuno di Ammannati. Dunque il coraggio è quello che ha spinto i fiorentini a ricercare la grande bellezza della città, a chiedere agli artisti di superare i limiti, creare qualcosa di unico. Da troppo tempo a Firenze manca il coraggio. Di osare e anche di sbagliare.

Jeff Koons è una occasione, qualunque cosa Palazzo Vecchio alla fine decida. Anche di restituire l’opera all’artista americano, dopo però aver scelto quale segno (e sogno) intendiamo lasciare noi a Firenze.

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