«Siamo due mamme, non per i burocrati»
Emanuela e Chiara: solo all’asilo e in sala parto non ci hanno mai fatto storie
Quando Emanuela disse che avrebbe voluto un figlio Chiara non fu subito d’accordo. «Avevo dei dubbi, non pochi ma nulla che riguardasse il nostro rapporto, la nostra vita o la nostra situazione economica o lavorativa. Tutto quello non era un problema, mi chiedevo come sarebbe stato accettato nostro figlio o nostra figlia nella società che viviamo, come sarebbe cresciuto o cresciuta, contro quali ostacoli avrebbe dovuto battersi». La piccola Viola, di tre anni, arriva a cercare tra la gente la sua mamma Chiara, è accompagnata dai nonni che non la perdono un attimo di vista, indica qualcosa, vuole andare da quella parte: «Vai dai nonni dopo arrivo», dice lei avvicinandosi con dolcezza alla bimba. «Ora so che la società è molto più avanti di quello che pensavo».
Emanuela, 42 anni e Chiara, 50 anni si sono conosciute a una cena tra amici, in pizzeria: «Avevamo degli amici in comune, ci siamo incontrate lì, dopo qualche mese siamo andate a vivere insieme». È stata subito intesa, un’intesa che va avanti da tredici anni: «La nostra relazione è stata da subito visibile a tutti i nostri amici e parenti». Nel 2011 Emanuela e Chiara sono volate di là dall’Atlantico per trovare uno Stato che riconoscesse la loro unione, il loro sì lo hanno pronunciato a New York. Quando hanno iniziato a parlare della possibilità di avere un figlio, hanno preso a frequentare anche l’associazione dei genitori omosessuali, Famiglie Arcobaleno, che è nata nel 2005: «Abbiamo conosciuto tramite l’associazione tante famiglie felici, famiglie alle prese con la quotidianità, come tutte. Tutti i dubbi a quel punto sono stati spazzati via», dice Chiara che ha legato al collo una bandiera fucsia, il colore di Famiglie Arcobaleno. Quando hanno iscritto la loro figlia all’asilo nido hanno subito detto alle maestra che erano le due mamme di Viola: «Nessuno ha avuto nulla di dire, non hanno chiesto a Chiara la delega per andare a prendere la bambina, ma avrebbero potuto farlo, non riconoscerla come genitore (anche se la tariffa del nido è calcolata sullo stipendio di entrambe). Il buon senso in molti casi può più delle leggi».
Il buon senso accompagna il pediatra che sa di potersi rivolgere all’una e all’altra mamma indifferentemente, raccontano, così come ha accompagnato l’ostetrica che ha fatto assistere Chiara al parto di Emanuela all’ospedale di Prato, che le ha fatto tagliare il cordone ombelicale e stare con la bambina durante quei primissimi minuti di vita. «Non avevo diritto di stare lì, avrebbero potuto farmi allontanare, invece grazie al personale dell’ospedale ho potuto avere quel privilegio, vivere la meraviglia della nascita di mia figlia». All’anagrafe però è dovuta andare Emanuela, la madre biologica, l’unica mamma che la legge riconosce. «Siamo in piazza per i diritti di nostra figlia prima di tutto e poi per i nostri. Perché le persone ci vengono incontro come possono, ma c’è sempre il limite della burocrazia ad ostacolare le cose».
Viola chiede chi è l’altra mamma dei suoi amici dell’asilo, quando le spiegano che quel bambino non ha due mamme, chiede chi è allora il babbo: «Che ogni famiglia è diversa, per lei è già un concetto acquisito», concludono le due mamme.