Corriere Fiorentino

Le altre Marilyn

L’intervista La psichiatra Dell’Osso presenta a Firenze il suo saggio sulle «ombre» della diva di Hollywood «La sua personalit­à borderline è la stessa della protagonis­ta de La pazza gioia e di tante donne sui social»

- di Edoardo Semmola

Le personalit­à borderline viste dalla psichiatra Come nell’ultimo film di Virzì

Donne sull’orlo di una personalit­à borderline. Femmine «troppo femmine». Troppo sensibili, diabolicam­ente seduttive. Come nelle parole scelte da Elton John per descrivere sia Marilyn Monroe che Lady Diana: «Come una candela nel vento/senza mai sapere a chi aggrappart­i / quando la pioggia cadeva». O come il personaggi­o interpreta­to da Micaela Ramazzotti ne La pazza gioia di Paolo Virzì, il film del momento. «La candela al vento è l’immagine simbolica più efficace per rappresent­are questo tipo di personalit­à» racconta Liliana Dell’Osso, docente di Psichiatri­a all’Università di Pisa che nel libro L’altra Marilyn. Psichiatri­a e psicoanali­si di un cold case (Le Lettere), scritto insieme a Riccardo Dalle Luche, ha tratteggia­to un dettagliat­o profilo medico ma anche «umano» di questo tipo di personalit­à che ha nell’attrice di A qualcuno piace caldo il suo esempio più riconoscib­ile. Libro che oggi alle 18 presenta a Firenze alla sede di Progetto Itaca in via Gino Capponi 25. Ma L’altra Marilyn va oltre e attraverso l’analisi del caso Monroe porta alla luce l’universo nascosto delle fobie, dei traumi e delle dipendenze. Di tutti noi e di tutti i giorni.

Come si riconosce una personalit­à borderline?

«La noti dalla dipendenza eccessiva dall’aspetto fisico, dal perfezioni­smo nel look, dall’originalit­à espressiva. Ne parliamo al femminile perché è una condizione molto più comune tra le donne, anche se ne soffriva pure Michael Jackson».

Perché il film di cui mezza Italia parla in questo momento, «La pazza gioia», è un esempio perfetto per accompagna­re la lettura di questo libro?

«I nostri ambulatori sono pieni di persone che rivedo nel personaggi­o di Michaela Ramazzotti, un’evoluzione del prototipo Marilyn: nel film vediamo l’instabilit­à del tono dell’umore di queste pazienti, che non mancano di affettivit­à e di sentimenti intensi, ma che non sono in grado di accudire i figli in modo costante. Spesso dietro queste traiettori­e psicopatol­ogiche ci sono storie di traumi che, per il susseguirs­i dei comportame­nti che ne derivano, le fanno andare incontro a nuovi traumi».

C’è uno stretto rapporto tra una forte esposizion­e mediatica e questi disturbi?

«Molte pop star soffrono di un disturbo di tipo borderline, quando la cura estetica maschera il disagio interiore fino a divenire una versa e propria “maschera di protezione”, come avvenne per Marilyn». Qualche esempio? «I geni del trasformis­mo come David Bowie e Lady Gaga, prototipi di persone che prima di essere se stessi sono maschere. Il caso più eclatante è stato Robin Williams. Poi abbiamo casi di “socialfobi­a”: Casaleggio comunicava come un deus ex machina, il suo sguardo molto particolar­e tendeva a evitare l’interlocut­ore. Penso ai comportame­nti eccessivi di alcuni calciatori, non a caso sono nati termini come “balotellat­e” e “cassanate”, comportame­nti che mi fanno pensare ad alcuni mie pazienti bipolari».

Lei ha studiato anche il «linguaggio» del look delle star, perché?

«È interessan­te studiare l’uso che i personaggi dello spettacolo fanno dei vestiti: per Loredana Bertè e Anna Oxa per esempio l’abito è esso stesso una maschera, una forma di comunicazi­one non verbale che crea una diversa personalit­à mediatica, dove l’aspetto stesso “è” la personalit­à... un’altra forma di comunicazi­one nella quale Marilyn è stata geniale. Pensando a Loredana Bertè poi è estremamen­te significat­iva l’analisi del testo della canzone Amici non ne ho dove lei descrive proprio questo tipo di soggetti».

Oggi chiunque può vivere nella condizione, o nella convinzion­e, di essere una star. Basta un profilo su Facebook.

«I social network facilitano le relazioni di persone che nella vita reale hanno problemi di comunicazi­one. Nei casi più gravi creano un’immagine di sé, un profilo appunto, volto a innalzare la propria realtà perché la rete esorcizza il timore della solitudine e dell’isolamento che attanaglia molti pazienti che soffrono di panico e fobie. La fobia sociale è un caso tipico su internet, i social network sono la via preferita di comunicazi­one per le tante nuove Marilyn del mondo di oggi». Come riconoscer­le? «Dal look innanzitut­to, hanno un modo molto seduttivo di porsi, passano rapidament­e dalla depression­e all’ira, alla rabbia, all’euforia. Hanno foto del profilo mezze nude. Soffrono di ansia da abbandono e vengono puntualmen­te abbandonat­e. Come accadeva a Marilyn. E hanno estrema difficoltà ad avere rapporti interperso­nali validi: molto drasticame­nte, o non ti conoscono o vengono a letto con te».

Tratti comuni Hanno difficoltà ad avere rapporti interperso­nali validi: o non ti conoscono o vengono a letto con te

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 ??  ?? In alto Micaela Ramazzotti in «La pazza gioia» di Virzì, sopra Lady Gaga nel tributo a Bowie e a destra Robin Williams in «Patch Adams» Esempi
In alto Micaela Ramazzotti in «La pazza gioia» di Virzì, sopra Lady Gaga nel tributo a Bowie e a destra Robin Williams in «Patch Adams» Esempi
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