Le altre Marilyn
L’intervista La psichiatra Dell’Osso presenta a Firenze il suo saggio sulle «ombre» della diva di Hollywood «La sua personalità borderline è la stessa della protagonista de La pazza gioia e di tante donne sui social»
Le personalità borderline viste dalla psichiatra Come nell’ultimo film di Virzì
Donne sull’orlo di una personalità borderline. Femmine «troppo femmine». Troppo sensibili, diabolicamente seduttive. Come nelle parole scelte da Elton John per descrivere sia Marilyn Monroe che Lady Diana: «Come una candela nel vento/senza mai sapere a chi aggrapparti / quando la pioggia cadeva». O come il personaggio interpretato da Micaela Ramazzotti ne La pazza gioia di Paolo Virzì, il film del momento. «La candela al vento è l’immagine simbolica più efficace per rappresentare questo tipo di personalità» racconta Liliana Dell’Osso, docente di Psichiatria all’Università di Pisa che nel libro L’altra Marilyn. Psichiatria e psicoanalisi di un cold case (Le Lettere), scritto insieme a Riccardo Dalle Luche, ha tratteggiato un dettagliato profilo medico ma anche «umano» di questo tipo di personalità che ha nell’attrice di A qualcuno piace caldo il suo esempio più riconoscibile. Libro che oggi alle 18 presenta a Firenze alla sede di Progetto Itaca in via Gino Capponi 25. Ma L’altra Marilyn va oltre e attraverso l’analisi del caso Monroe porta alla luce l’universo nascosto delle fobie, dei traumi e delle dipendenze. Di tutti noi e di tutti i giorni.
Come si riconosce una personalità borderline?
«La noti dalla dipendenza eccessiva dall’aspetto fisico, dal perfezionismo nel look, dall’originalità espressiva. Ne parliamo al femminile perché è una condizione molto più comune tra le donne, anche se ne soffriva pure Michael Jackson».
Perché il film di cui mezza Italia parla in questo momento, «La pazza gioia», è un esempio perfetto per accompagnare la lettura di questo libro?
«I nostri ambulatori sono pieni di persone che rivedo nel personaggio di Michaela Ramazzotti, un’evoluzione del prototipo Marilyn: nel film vediamo l’instabilità del tono dell’umore di queste pazienti, che non mancano di affettività e di sentimenti intensi, ma che non sono in grado di accudire i figli in modo costante. Spesso dietro queste traiettorie psicopatologiche ci sono storie di traumi che, per il susseguirsi dei comportamenti che ne derivano, le fanno andare incontro a nuovi traumi».
C’è uno stretto rapporto tra una forte esposizione mediatica e questi disturbi?
«Molte pop star soffrono di un disturbo di tipo borderline, quando la cura estetica maschera il disagio interiore fino a divenire una versa e propria “maschera di protezione”, come avvenne per Marilyn». Qualche esempio? «I geni del trasformismo come David Bowie e Lady Gaga, prototipi di persone che prima di essere se stessi sono maschere. Il caso più eclatante è stato Robin Williams. Poi abbiamo casi di “socialfobia”: Casaleggio comunicava come un deus ex machina, il suo sguardo molto particolare tendeva a evitare l’interlocutore. Penso ai comportamenti eccessivi di alcuni calciatori, non a caso sono nati termini come “balotellate” e “cassanate”, comportamenti che mi fanno pensare ad alcuni mie pazienti bipolari».
Lei ha studiato anche il «linguaggio» del look delle star, perché?
«È interessante studiare l’uso che i personaggi dello spettacolo fanno dei vestiti: per Loredana Bertè e Anna Oxa per esempio l’abito è esso stesso una maschera, una forma di comunicazione non verbale che crea una diversa personalità mediatica, dove l’aspetto stesso “è” la personalità... un’altra forma di comunicazione nella quale Marilyn è stata geniale. Pensando a Loredana Bertè poi è estremamente significativa l’analisi del testo della canzone Amici non ne ho dove lei descrive proprio questo tipo di soggetti».
Oggi chiunque può vivere nella condizione, o nella convinzione, di essere una star. Basta un profilo su Facebook.
«I social network facilitano le relazioni di persone che nella vita reale hanno problemi di comunicazione. Nei casi più gravi creano un’immagine di sé, un profilo appunto, volto a innalzare la propria realtà perché la rete esorcizza il timore della solitudine e dell’isolamento che attanaglia molti pazienti che soffrono di panico e fobie. La fobia sociale è un caso tipico su internet, i social network sono la via preferita di comunicazione per le tante nuove Marilyn del mondo di oggi». Come riconoscerle? «Dal look innanzitutto, hanno un modo molto seduttivo di porsi, passano rapidamente dalla depressione all’ira, alla rabbia, all’euforia. Hanno foto del profilo mezze nude. Soffrono di ansia da abbandono e vengono puntualmente abbandonate. Come accadeva a Marilyn. E hanno estrema difficoltà ad avere rapporti interpersonali validi: molto drasticamente, o non ti conoscono o vengono a letto con te».
Tratti comuni Hanno difficoltà ad avere rapporti interpersonali validi: o non ti conoscono o vengono a letto con te