L’arma in più dei Comuni per fermare le aperture
Palazzo Vecchio dirà no a McDonald’s in piazza Duomo, forte del suo regolamento per il centro. Ma il no rischia di aprire una guerra legale col colosso Usa, che solo il decreto legislativo annunciato dal governo potrebbe disinnescare.
Il decreto legislativo «salva identità» è ancora una bozza, il testo non è ancora arrivato alle Camere. Ma potrebbe veramente rispondere a molte delle esigenze dei sindaci, costretti ad essere i «front liner» per le polemiche e le lamentele dei residenti nelle città che cambiano, senza oggi strumenti veri in mano per agire.
Sul commercio, si legge nella bozza arrivata a Palazzo Vecchio, «il Comune, d’intesa con la Regione, sentito il soprintendente, può adottare deliberazioni volte a individuare zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l’esercizio di una o più attività di cui al presente decreto, individuate con riferimento al tipo o alla categoria merceologica, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale».
Una norma «forte», più forte di quella dell’articolo 52 del Codice dei beni culturali (rivolta soprattutto agli ambulanti su spazio pubblico ed alla tutela dei negozi storici) e sovraordinata ovviamente al regolamento comunale per il centro Unesco (quello della «filiera corta», per intenderci, ed anti minimarket). Riuscirà però questa norma a reggere le altre norme sulla liberalizzazione del commercio introdotta nel ‘98 dalle leggi Bersani e confermate da Monti nel 2011? È quello che si augura Nardella, come si augura anche che il decreto sia convertito in legge entro l’estate. Perché anche i tempi contano.
Il 5 luglio la commissione comunale (composta di tecnici) dovrà decidere l’eventuale deroga per McDonald’s in piazza Duomo. Se la risposta sarà negativa, si aprirà un contenzioso con la multinazionale Usa. Che non è un minimarket: potrà schierare una «force de frappe» di colossi legali, team italiani e non. L’azienda ha fatto sapere che non parla, al momento, della vicenda di Firenze. Ma considerando che agli incontri a Palazzo Vecchio si è sempre presentata con due avvocati, difficile non proceda con lo stesso andamento.
Una guerra legale, insomma, potrebbe essere la conclusione della vicenda. La metafora usata da Nardella nel suo ufficio di Clemente VII è: «Siamo il David della Repubblica fiorentina contro il gigante Golia». Solo che il David ha la «fionda» del decreto Franceschini. O meglio, spera di averla: il decreto è in itinere. Annunciato al termine del Consiglio dei Ministri la scorsa settimana, lo hanno visto solo poche persone ed è una bozza . Una «fionda» che potrà però cambiare il futuro: perché, è convinto Nardella, «identità è anche avere negozi di vicinato, mercerie, calzolai» ormai «scomparsi» in alcune zone. Non solo del centro: Nardella pensa alle periferie ed ha in mente di intervenire su Peretola, Galluzzo, Settignano, Badia a Ripoli, Sant’Andrea a Rovezzano, Brozzi. I ventuno articoli del decreto daranno anche maggiori poteri di «sicurezza urbana» ai sindaci: dai parcheggiatori abusivi all’accattonaggio, dai writers ai vandali. I sindaci potranno intervenire su tutto ciò che non rispetti il «bene pubblico». Problemi che oggi non ricadono direttamente nelle funzioni dei Comuni ma che vengono sollevati dai cittadini verso i sindaci. Insomma, dietro al decreto annunciato da Franceschini c’è molto di più della norma per i centri storici (peraltro contenuta anche in un Disegno di legge presentato dalla senatrice Pd Rosa Maria Di Giorgi). C’è un ruolo nuovo per i sindaci. Intanto Nardella annuncia più controlli su tutti i locali della zone storica, utilizzando lo strumento del regolamento per il centro Unesco. Per la «fionda», c’è tempo.