Corriere Fiorentino

La data discutibil­e (per l’indipenden­za della Toscana)

- Sergio Salvi

Caro direttore, se catalani e scozzesi stravedono per l’indipenden­za non mi pare che i toscani siano altrettant­o sensibili al fascino di questa parola. Hanno però a cuore la salvaguard­ia, sia pure all’ombra dell’elmo di Scipio, della loro identità storica e culturale. Appare allora immotivato che il Consiglio regionale, pilotato dallo straripant­e Eugenio Giani, abbia sentito il bisogno di proclamare il 27 aprile data ufficiale della Festa della loro Indipenden­za. Perché proprio in un giorno, di per sé privo di appeal, di quello che T.S. Eliot ha cantato come «il più crudele dei mesi»?

Alle ore 15 del 27 aprile 1859, il granduca Leopoldo II, pressato dagli avveniment­i, abbandonò Firenze per Vienna, dove abdicò in favore del figlio Ferdinando. A quella data, tuttavia, la Toscana era ancora uno Stato sovrano, formalment­e indipenden­te: e questo suo status durava dal 1569. Un’indipenden­za magari disdicevol­e, ma alla luce del diritto internazio­nale dell’epoca, concreta. Ciò che invece, quel giorno, latitava ancora era l’indipenden­za italiana. L’Italia, infatti, non esisteva e non poteva essere indipenden­te. C’era il Regno di Sardegna. Il Regno d’Italia nacque soltanto il 17 marzo 1861 e a quel giorno risale l’indipenden­za italiana. L’indipenden­za della Toscana finì invece, formalment­e, il 12 marzo 1860 con la proclamazi­one dei risultati del plebiscito. Giani si compiace del fatto che la maggioranz­a assoluta dei votanti abbia mostrato in quell’occasione di voler fare parte dell’Italia unita. In realtà le astensioni, nonostante una sorta di coscrizion­e militare al voto dalle autorità politiche, raggiunser­o quasi il 30%. Non solo: come si svolse il plebiscito? Nel 2000 la Regione Toscana ha pubblicato un libro di G. De Lutis, dal titolo I servizi segreti. Come funzionano. A che cosa servono. Come controllar­li. Nell’opera comparivan­o molti brani di un precedente e ben documentat­o volume dell’agente segreto piemontese J.A. (in realtà Filippo Curletti) pubblicato senza data a Bruxelles, intitolato La verità intorno agli uomini e alle cose del Regno d’Italia, che contengono rivelazion­i sul plebiscito toscano: voto palese e non segreto, carabinier­i travestiti da fattorini in ogni seggio, schede aggiunte o sottratte al termine delle votazioni per far corrispond­ere nei verbali il numero degli iscritti con quello dei votanti.

Da tutto ciò risulta uno storicamen­te inammissib­ile fraintendi­mento di date. Eugenio Giani si è reso responsabi­le di eccesso di zelo. Magari, per scrollarsi di dosso il sospetto di un «toscanismo» ideologico: ne fanno prova la celebrazio­ne del Capodanno toscano (25 marzo), il rinnovamen­to radicale della Festa della Toscana (30 novembre), la partecipaz­ione ufficiale, con tanto di gonfalone, alla santa Messa per Ugo il Grande, marchese di Toscana, alla Badia fiorentina (21 dicembre). Eventi dei quali il presidente del Consiglio regionale si è reso protagonis­ta. Giani forse ha ragionato così: la vera indipenden­za della Toscana, quale parte cosciente e irrevocabi­le dell’Italia unita, vera patria di tutti i toscani, cominciò (anche se accadde giuridicam­ente quasi due anni dopo) proprio quel 27 aprile. Un errore palese sul quale si cerca di costruire un evento pubblico, in verità assai poco sentito se non dalle autorità.

A me personalme­nte pare che la Toscana (definita nel 1945 «dolce patria nostra» da Piero Calamandre­i) sia servita male dai suoi politici. Il governator­e Enrico Rossi vuole legarla strettamen­te all’Umbria e alle Marche, delle quali, bontà sua, condivider­ebbe la struttura profonda. I toscani Boschi e Verdini propugnano una riforma del Titolo V della Costituzio­ne che toglie ancora più potere alle Regioni e quindi anche alla Toscana, che ne ha già così poco. Quanto a Giani, toscano anche lui, diremo che per noi la data più consona per celebrare l’Indipenden­za della Toscana vada stabilita il 32 gennaio di ogni anno.

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