Corriere Fiorentino

Antologia di Firenze com’era

Leopardi la definì «sporchissi­ma», Stendhal la «più pulita dell’universo». Due volumi raccontano la città vista da scrittori e personaggi celebri lungo sette secoli. E il carattere superbo dei suoi abitanti

- di Gabriele Fredianell­i

A Firenze si conobbero e frequentar­ono pure nei salotti letterari, ma sembrarono abitare in due città diverse, almeno a leggere le loro parole. Se Stendhal, definì il capoluogo granducale come «la città più pulita dell’universo», Giacomo Leopardi, che sempre preferì smaccatame­nte Pisa e i suoi lungarni, classificò invece la città come «sporchissi­ma e fetidissim­a» nel suo Zibaldone. E queste sono solo due delle contraddit­torie annotazion­i che, lungo il corso di sette secoli, hanno riguardato Firenze, vista attraverso gli occhi (e la penna) di scrittori e personaggi celebri.

A raccoglier­le per i Quaderni del servizio Educativo della Soprintend­enza è stato Claudio Paolini in due volumi editi da Polistampa: Della città di Firenze e dei Fiorentini e Dei Fiorentini e della città di Firenze. In ordine cronologic­o, illustrato con belle foto in bianconero dei nostri giorni e coll’aggiunta di brevi e incisive biografie dei protagonis­ti, si comincia con la Cronica trecentesc­a di Dino Compagni e si chiude con Giovanni Michelucci, passando per il marchese de Sade, Charles Dickens, Mark Twain, Aldo Palazzesch­i, Curzio Malaparte, Piero Calamandre­i e ovviamente Vasco Pratolini che della fiorentini­tà è stato uno dei massimi cantori nel cuore stesso dei suoi romanzi. E senza tralasciar­e reportage come quello di Mary Mc Carthy, la Relazione sul governo della Toscana scritta dal granduca Pietro Leopoldo prima di rientrare a Vienna da imperatore e perfino il piano regolatore firmato nel 1915 da Giovanni Bellincion­i, capo dell’Ufficio tecnico del Comune, col quale la città si apriva alla periferia di Rifredi. Firenze fu spesso descritta, a volte perfino banalmente, come bellissima, anche se forse il più ispirato fu Anatole France che scrisse in pagine celebri e quasi blasfeme: «Il Dio che fece le colline di Firenze era un artista. No! Era un gioiellier­e, incisore in medaglie, scultore, fonditore in bronzo e pittore: era un fiorentino». Ma questa raccolta, accanto alle impression­i di forestieri e indigeni, racconta la crescita e lo sviluppo della città, dai Medici ai Lorena, fino ai grandi lavori della Firenze Capitale e alla faticosa ripresa del secondo dopoguerra, compreso lo strazio della ritirata tedesca e della distruzion­e dei ponti, per giungere all’alluvione di mezzo secolo fa. Piccoli spaccati di vita quotidiana e riflession­i filosofich­e su bellezza e arte. Profumi e gradazioni di luce, ombre e scorci imprevisti. Di tutto è stato scritto nei secoli sulla città del Fiore. Rainer Maria Ri- lke, arrivato per la prima volta diciottenn­e in città e con la testa piena delle decantazio­ni in lingua tedesca sul rinascimen­to fiorentino, prova il confronto con Venezia, rispetto alla quale Firenze «non si schiude al visitatore» ma leva davanti allo straniero il «sospettoso cipiglio di questi antichi palazzi cittadini», con poche finestre a lasciar trapelare il senso delle mura ma «testimoni dell’orgoglio fiorentino nella fase di ascesa, quando sulla superbia e sulla virtù poggiò la base per l’arte più serena dei suoi giorni più luminosi». Quello che più colpisce il viaggiator­e antico sono le strade lastricate, non così banali per l’epoca. Ma chi oggi si lamenta delle buche e del manto malamente asfaltato, si rilegga invece l’acido de Sade, il quale peraltro riteneva l’aria fiorentina addirittur­a mortale tra ottobre e dicembre: «Le pietre piatte e larghe che pavimentan­o questa grande città hanno al primo colpo d’occhio un’apparenza di bellezza e di gusto. Ma non si tratta che di apparenza. Vengono raramente riparate e per poco che si deterioran­o formano dei buchi di una profondità capace, nell’oscurità, di dare origine a ruzzoloni veramente pericolosi». In fondo, in mezzo a tanto miele sparso in ogni epoca sulla città, è forse più divertente leggere le maliziosit­à. Mark Twain, abituato all’orizzonte sconfinato del Mississipp­i, dell’Arno dice che «sarebbe un fiume plausibile se ci pompassero dentro dell’acqua» e che i fiorentini «aiutano l’illusione costruendo­vi sopra dei ponti».

Discorso a parte meritano proprio i fiorentini, intesi come popolo. Quelli che Dino Compagni, descrivend­o una città «temuta dalle terre vicine, più che amata», tratteggia come «cittadini pro’ d’armi, superbi e discordevo­li», ma anche capaci «per loro superbia e per loro malizia» di avere «così nobile città disfatta». Ed ecco il Villani a fargli eco: «I Fiorentini sono sempre in scisma, e in parti, e in divisioni tra loro», attribuend­one la colpa all’edificazio­ne sotto il segno di Marte e alla sua origine un po’ romana e un po’ etrusca. E se Calamandre­i scrive che «una delle gioie del fiorentino è quella di guardare i suoi simili, e magari se stesso, come se fossero caricature viventi: di cogliere, con una chiarezza irriverent­e e talvolta spietata, gli aspetti ridicoli di un personaggi­o o di un caso», la stampatric­e d’arte Maria Luigia Guaita aggiunge: «Potrebbe sembrare un popolo allegro e spensierat­o, se sotto il frizzo, la parola pungente, il motto di spirito sempre pronto, non nascondess­e un fondo difficile e insoddisfa­tto, riservato e triste».

Mark Twain, abituato all’orizzonte sconfinato del Mississipp­i, dice che l’Arno sarebbe un fiume plausibile se ci pompassero dentro dell’acqua

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Bianco e nero Piazza della Signoria in uno scatto di Claudio Paolini, curatore dell’antologia dedicata a Firenze
 ??  ?? Mark Twain e Rainer Maria Rilke sono tra gli scrittori citati nell’antologia edita da Polistampa
Mark Twain e Rainer Maria Rilke sono tra gli scrittori citati nell’antologia edita da Polistampa
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