Corriere Fiorentino

VIVERE QUI, ALL’ISRAELIANA

- di Adam Smulevich

Ciascuno è responsabi­le non solo per se stesso, ma anche per chi è al suo fianco. Occhi sempre aperti. Massima attenzione a cogliere ogni segnale di pericolo. Ma anche disponibil­ità condivisa a godere appieno della bellezza, dell’intensità e delle opportunit­à che la vita ci offre. Il modello «all’israeliana» evocato ieri dall’editoriale di Paolo Ermini e di cui spesso si è parlato in questi giorni sui media è da molto tempo esperienza quotidiana all’interno di ogni comunità ebraica, in particolar­e dall’attentato alla sinagoga di Roma del 1982 in cui perse la vita il piccolo Stefano Gaj Taché, vittima innocente dell’odio palestines­e in una stagione terribilme­nte complessa e dolorosa. Un patrimonio di buone pratiche e di buon senso, alla portata di chiunque, che potrebbe rivelarsi prezioso anche per la collettivi­tà toscana, per fronteggia­re la minaccia del terrorismo islamico senza farsi schiacciar­e da paure e angosce che cominciano a serpeggiar­e sempre più insistente­mente a tutti i livelli.

Sin da bambini, all’interno di una Comunità ebraica, si cresce con la consapevol­ezza che è fondamenta­le rinunciare a un segmento dei propri minuti e della propria privacy per il bene comune. E con la consapevol­ezza inoltre che ci sono persone che sacrifican­o con generosità parte del proprio tempo libero per tutelare, insieme alle forze dell’ordine, la sicurezza tua e di chi ti è caro. E che se per una volta ci sono due minuti in più da aspettare in fila fuori dall’ingresso della sinagoga, non è un dramma. È giusto così, e chi svolge il proprio lavoro va solo ringraziat­o per il suo scrupolo e per le sue premure.

È una consapevol­ezza che rafforza tutta una comunità. Non ho ricordi, a Firenze, nel grande Tempio di via Farini, di una singola ricorrenza condiziona­ta in modo significat­ivo dalle varie ondate di Jihad di questi anni, dall’Undici Settembre in poi. Al Qaeda o Isis. Estremisti inviati dal califfo o lupi solitari in azione. Le regole restano sempre le stesse. E identico il patto di solidariet­à e mutua assistenza. È un patto non scritto, ma è in fondo la regola numero uno. Io guardo te, tu guardi me. Qualcun altro, più indietro, guarderà noi.

E insieme, in quel luogo per una funzione, una festa, un evento ricreativo o culturale, celebriamo un momento di condivisio­ne che ci rende più ricchi. Sentinelle vigili, ma al tempo stesso felici. Alla faccia di chi vorrebbe spezzare questa catena e imporre, con la violenza, ben altro tipo di approccio alla vita.

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