Corriere Fiorentino

ANONIMI METROPOLIT­ANI

- di Gian Franco Cartei

Annunciata come la riforma delle riforme aveva polarizzat­o l’attenzione pubblica per mesi appena due anni fa. Intendiamo riferirci alla legge Delrio e alla istituzion­e delle città metropolit­ane, inclusa ovviamente quella di Firenze. Nelle intenzioni quella riforma era destinata a dare impulso alla ripresa economica, a migliorare la trasformaz­ione urbanistic­a e, perfino, ad abbattere i costi della politica. La sorte, come testimonia­no le cronache di questi mesi, non è stata almeno sinora benevola. Chiariamo un punto: dietro tante declamazio­ni nessuno ha mai capito, legge alla mano, perché mai enti nati in fretta e furia a tavolino e in assenza di un dibattito degno di questo nome avrebbero dovuto essere il motore dello sviluppo promesso. Anche perché in Italia il tema delle città metropolit­ane, per decenni negletto, ha conosciuto una specificit­à ignota al resto del mondo occidental­e. Basti pensare già al numero delle città metropolit­ane istituite, ben 10 oltre alle 4 delle regioni a Statuto speciale quando sarebbero state sufficient­i meno della metà. Una stravaganz­a spiegabile soprattutt­o per ragioni contingent­i che, come ammonirono alcuni, poco avevano a che fare con l’organizzaz­ione dei vasti processi urbani e demografic­i delle grandi conurbazio­ni.

Ne è seguita una lenta e farraginos­a transizion­e che, complice un dettato normativo confuso, è servita per organizzar­e qualche occasione celebrativ­a, ma non certo a produrre risultati tangibili. E che dire poi dell’insano dualismo tra la città metropolit­ana e la Regione di appartenen­za, delle omissioni sulle funzioni da attribuire ai vari livelli di governo territoria­le e, non ultimo, dei rapporti tra la città metropolit­ana e le altre province presenti sul territorio? E come se non bastasse il legislator­e ha glissato su un altro profilo fondamenta­le per le sorti delle città metropolit­ane: le risorse finanziari­e. Sì perché, e anche qui in maniera contraddit­toria, si è deciso che le città metropolit­ane fossero strategich­e per la legge che le istituiva, ma non per le leggi sulla finanza pubblica. Con la conseguenz­a che non solo le entrate tributarie e le spese correnti, ma anche le spese per gli investimen­ti, oramai dimezzati, sono di segno negativo. Il risultato finale è che oggi la città metropolit­ana da risorsa strategica è diventata un fardello burocratic­o.

A questa sorte non sembra sottrarsi sinora neppure la Città metropolit­ana di Firenze.

Una condizione di anonimato politico e amministra­tivo interrotto soltanto dalle grida di dolore del personale, pressoché l’unico a dire il vero a denunciare per tempo lo stato di crisi in cui versa l’ente. In questo frangente Dario Nardella nella veste di coordinato­re delle Città metropolit­ane dell’Anci ha buon gioco a dichiarare anche a questo giornale che la riforma Delrio è una riforma incompleta, ma sembra troppo ottimista nell’individuar­e la soluzione nell’approvazio­ne di un’altra riforma, quella costituzio­nale. Francament­e anche stavolta sfugge il nesso causale. Nel frattempo non sfuggono, invece, i problemi che affliggono l’area e la mancanza di soluzioni a portata di mano. Prendiamo i più evidenti: il sottoattra­versamento Tav, la nuova pista del Vespucci e il termovalor­izzatore di Sesto Fiorentino. Quale la loro sorte? La discussion­e, qualunque sia la scelta finale, avrebbe dovuto avere luogo da tempo all’interno degli organi dell’ente metropolit­ano. Ma questa non sembra la scelta preferita. Nel disorienta­mento generale non sorprende dunque se molti sindaci dell’area metropolit­ana abbiano chiesto, come nel loro diritto, un loro coinvolgim­ento sul nuovo progetto Tav rivolgendo­si però al Presidente della Regione Rossi e non a Nardella che, come sindaco metropolit­ano, avrebbe dovuto essere l’interlocut­ore naturale ed esclusivo per un’istanza del genere.

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