ANONIMI METROPOLITANI
Annunciata come la riforma delle riforme aveva polarizzato l’attenzione pubblica per mesi appena due anni fa. Intendiamo riferirci alla legge Delrio e alla istituzione delle città metropolitane, inclusa ovviamente quella di Firenze. Nelle intenzioni quella riforma era destinata a dare impulso alla ripresa economica, a migliorare la trasformazione urbanistica e, perfino, ad abbattere i costi della politica. La sorte, come testimoniano le cronache di questi mesi, non è stata almeno sinora benevola. Chiariamo un punto: dietro tante declamazioni nessuno ha mai capito, legge alla mano, perché mai enti nati in fretta e furia a tavolino e in assenza di un dibattito degno di questo nome avrebbero dovuto essere il motore dello sviluppo promesso. Anche perché in Italia il tema delle città metropolitane, per decenni negletto, ha conosciuto una specificità ignota al resto del mondo occidentale. Basti pensare già al numero delle città metropolitane istituite, ben 10 oltre alle 4 delle regioni a Statuto speciale quando sarebbero state sufficienti meno della metà. Una stravaganza spiegabile soprattutto per ragioni contingenti che, come ammonirono alcuni, poco avevano a che fare con l’organizzazione dei vasti processi urbani e demografici delle grandi conurbazioni.
Ne è seguita una lenta e farraginosa transizione che, complice un dettato normativo confuso, è servita per organizzare qualche occasione celebrativa, ma non certo a produrre risultati tangibili. E che dire poi dell’insano dualismo tra la città metropolitana e la Regione di appartenenza, delle omissioni sulle funzioni da attribuire ai vari livelli di governo territoriale e, non ultimo, dei rapporti tra la città metropolitana e le altre province presenti sul territorio? E come se non bastasse il legislatore ha glissato su un altro profilo fondamentale per le sorti delle città metropolitane: le risorse finanziarie. Sì perché, e anche qui in maniera contraddittoria, si è deciso che le città metropolitane fossero strategiche per la legge che le istituiva, ma non per le leggi sulla finanza pubblica. Con la conseguenza che non solo le entrate tributarie e le spese correnti, ma anche le spese per gli investimenti, oramai dimezzati, sono di segno negativo. Il risultato finale è che oggi la città metropolitana da risorsa strategica è diventata un fardello burocratico.
A questa sorte non sembra sottrarsi sinora neppure la Città metropolitana di Firenze.
Una condizione di anonimato politico e amministrativo interrotto soltanto dalle grida di dolore del personale, pressoché l’unico a dire il vero a denunciare per tempo lo stato di crisi in cui versa l’ente. In questo frangente Dario Nardella nella veste di coordinatore delle Città metropolitane dell’Anci ha buon gioco a dichiarare anche a questo giornale che la riforma Delrio è una riforma incompleta, ma sembra troppo ottimista nell’individuare la soluzione nell’approvazione di un’altra riforma, quella costituzionale. Francamente anche stavolta sfugge il nesso causale. Nel frattempo non sfuggono, invece, i problemi che affliggono l’area e la mancanza di soluzioni a portata di mano. Prendiamo i più evidenti: il sottoattraversamento Tav, la nuova pista del Vespucci e il termovalorizzatore di Sesto Fiorentino. Quale la loro sorte? La discussione, qualunque sia la scelta finale, avrebbe dovuto avere luogo da tempo all’interno degli organi dell’ente metropolitano. Ma questa non sembra la scelta preferita. Nel disorientamento generale non sorprende dunque se molti sindaci dell’area metropolitana abbiano chiesto, come nel loro diritto, un loro coinvolgimento sul nuovo progetto Tav rivolgendosi però al Presidente della Regione Rossi e non a Nardella che, come sindaco metropolitano, avrebbe dovuto essere l’interlocutore naturale ed esclusivo per un’istanza del genere.