Corriere Fiorentino

Barbini, il politico con lo zaino in giro per il mondo

Tito Barbini: sindaco, presidente della Provincia, assessore regionale. Poi un’altra vita E i viaggi in giro per il mondo, da cui sono nati già 10 libri: «Ho lasciato alle spalle tutte le certezze»

- di Mario Lancisi

«Tra bufalo e locomotiva la differenza salta agli occhi: la locomotiva ha la strada segnata, il bufalo può scartare di lato e cadere...», cantava Francesco De Gregori nel 1976. L’anno della grande avanzata elettorale del Pci ad un passo dal governo del Paese. La locomotiva rossa viaggiava sicura mentre a Cortona il giovane Tito Barbini, 31 anni, faceva il sindaco con i binari segnati: scuola di partito alle spalle, viaggio in Urss a 19 anni, le foto giuste con Berlinguer, Arafat, Gorbaciov e Mitterand.

Da Cortona ad Arezzo (presidente della Provincia). Poi Firenze, la Regione: assessore all’urbanistic­a con Vannino Chiti e all’agricoltur­a con Claudio Martini. Finché nel 2004 si presenta alle primarie per il sindaco di Arezzo. Vince, ma i vertici dei Ds gli preferisco­no Monica Bettoni. Lei è dalemiana, lui veltronian­o.

Barbini mastica amaro. E un anno dopo, quando si conclude la legislatur­a regionale, deluso dalla politica, compra uno zaino con tante tasche, quelli per lunghi viaggi. «Babbo, ma cosa ne fai?», le chiedono le figlie Galia e Silvia e la nuova compagna, Alessandra. Lui: «Ho deciso di dire addio alla politica. Parto, vado in giro per il mondo…».

Da allora Barbini non si è più fermato. Dieci viaggi, dieci libri, quasi tutti di successo. Migliaia di chilometri percorsi: dalla Patagonia alla Cambogia, dalla Terra del Fuoco all’Antartide. Taccuini zeppi di appunti, centinaia di pagine scritte. Come il bufalo di De Gregori, anche Barbini ha scartato di lato: «La locomotiva aveva la strada segnata. Invece ho scelto di essere bufalo: ho voluto provare a correre, rischiando anche di cadere. Ma così mi sono ripreso la vita tra le mani. Mi sono liberato di ciò che di astratto c’era nella mia esperienza politica. Ho lasciato alle spalle le certezze che spesso danno i ruoli, le funzioni svolte», racconta.

Nei suoi viaggi Barbini segue poche regole, ma ferree. Zaino, per cominciare, essenziale, leggero: magliette, slip, calzini, sandali, un coltello multiuso con annesso cucchiaio e forchetta, i taccuini, il computer e diversi libri. Due, i più importanti: Moby Dick di Herman Melville e Le città invisibili di Calvino. «Sono le mie bussole letterarie Così come i libri di Tiziano Terzani e Antonio Tabucchi», dice.

Altra regola, viaggi in solitudine. «Da solo riesco a concentrar­mi sugli altri, a calarmi nella realtà di un posto e a seguire anche il caso, l’imprevisto, il cambio di programma», spiega. Niente aereo e alberghi, ma solo pullman, treno, battello, piccole pensioni, magari bagni alla turca, posti sporchi. «Per annusare meglio le anime delle persone, i loro segreti», sottolinea Barbini. Che si è imposto anche di attraversa­re a piedi le frontiere perché sono i luoghi dove si coagulano le differenze tra gli uomini e i loro mondi. E proprio alle frontiere è dedicato il prossimo libro, in uscita a dicembre, scritto a quattro mani con il giornalist­a Paolo Ciampi. Si intitola I sogni vogliono migrare e racconta confini come quelli di Tito Tijuana tra Messico e Usa. La frontiera tra Cambogia e Thailandia segnata dagli anni di Pol Pot. Il muro nel Sahara tra il Marocco e campi dei profughi sarahawi.

Di zaini Barbini racconta di averne consumati molti. Il primo, colore verde, è quello che lo ha accompagna­to nel viaggio dalla Patagonia all’Alaska, lungo il continente americano, materia del libro di esordio, Le nuvole non chiedono permesso (Polistampa, 2006). Le nuvole sono le idee e nei libri di Barbini si coglie l’intreccio tra la concretezz­a dei luoghi e i simboli che essi racchiudon­o.

Così nel Cacciatore di ombre, dove si racconta la straordina­ria avventura umana di Alberto Maria De Agostini, esplorator­e e missionari­o, il fratello minore del fondatore dell’omonima casa editrice, le ombre sono ciò che si riverbera «sulle coscienze civili annebbiate dall’arroganza del potere nelle sue varie forme». Barbini non si è risparmiat­o viaggi scomodi per lui ex comunista. Come quello a Berlino, da cui è nato il libro Caduti dal Muro, dove è franata la fede comunista «nel sole dell’avvenire». O lungo il Mekong, l’arteria fluviale dell’Indocina, dove Barbini si imbatte nelle fosse comuni dei morti del dittatore cambogiano Pol Pot. «Scendemmo in piazza contro il Cile di Pinochet. Contro Pol Pot niente, silenzio», ricorda amaro.

Ma il suo viaggio più difficile si è rivelato quello dentro la sua storia di ex comunista, raccontato in Quell’idea che ci era sembrata così bella. Da Berlinguer a Renzi, edito da Aska.

Sogni infranti. Macerie. Morti. Barbini però sostiene di non aver mai smesso di sognare. Quella certa idea di socialismo coltivata fin da ragazzo è in fondo la meta segreta di tutti i suoi lunghi viaggi. Anche per questo, a 71 anni , l’ex politico tiene sempre a portata di mano lo zaino. Basta un fischio dell’anima e il viaggio continua.

Filosofia Mi muovo da solo perché riesco a concentrar­mi sugli altri, a calarmi nella realtà di un posto e a seguire anche il caso, l’imprevisto

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Album Tito Barbini in alcuni dei suoi viaggi: a Machu Picchu in Perù, in Antartide e alle Galápagos

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