Corriere Fiorentino

Il mal di gol e l’incubo Bersellini

Nonostante Baggio, 30 anni fa i viola avevano gli stessi problemi: finirono noni

- di David Guetta

Trent’anni fa il problema era lo stesso di oggi: bisognava fare gol e non si sapeva più a che santo votarsi. Eppure c’era Antognoni, il giovanissi­mo Baggio, eppure la squadra aveva giocato e segnato senza problemi appena pochi mesi prima. Era stato acquistato Ramon Diaz, un grande attaccante, che aveva steccato a Napoli, ma fatto molto bene ad Avellino, Monelli a 23 anni sarebbe dovuto finalmente esplodere, insomma le premesse c’erano.

E invece niente. D’altra parte il grigiore di una stagione molto particolar­e (finita col nono posto) venne annunciato in anticipo. Ad aprile i Pontello incontraro­no il primo Berlusconi calcistico e incassaron­o una cifra sproposita­ta per i tempi, grazie alla cessione di Massaro e Galli. Poi fu la volta di Passarella, che si svincolò a parametro zero per passare all’Inter, uno che faceva benissimo il difensore e che aveva segnato dieci reti, molte su punizioni, ad averlo oggi sarebbe stata un’autentica manna dal cielo... A giugno Ranieri dette le dimissioni da presidente e arrivò Pier Cesare Baretti che proprio non se la prendeva in alcun modo con il rampante Agroppi, che infatti fu immediatam­ente cacciato.

Sulla piazza il nome più spendibile era Eugenio Bersellini, appena scaricato dalla Sampdoria e voglioso di rimettersi in gioco. Il problema era però la Fiorentina, intesa come squadra. Un mix male assortito di giocatori esperti come Oriali e Gentile e giovani di belle speranze, tipo ad esempio Berti e Onorati che per il loro mentore Agroppi si sarebbero lanciati nel fuoco e che con Bersellini a malapena capivano quello che il tecnico voleva da loro. E poi, appunto, c’era Baggio su cui tutti puntavano e che avrebbe garantito gol e assist. Dopo un paio di settimane però Robertino si fermò di nuovo e cominciaro­no i guai perché Antognoni non era più lui e così tutto finì sulle spalle di Diaz, che per fortuna fece il suo dovere segnando alla fine 10 reti, un bottino più che considerev­ole per un campionato a 16 squadre. Per avere un’idea della pochezza dell’attacco basterà ricordare che Monelli realizzò solo 2 gol, uno dei quali con il famoso tiro da centrocamp­o al Napoli di Maradona che sarebbe poi diventato campione d’Italia. Bersellini ci mise tutto l’impe- gno possibile, ma le risposte della squadra erano ad ogni partita più sconfortan­ti, e in Europa ancora di più.

Ad Oporto contro il Boavista, al primo turno e contro una squadra più che abbordabil­e, i viola venne sconfitto ai rigori, uno dei quali calciato e sbagliato dal povero Aldo Maldera, A due giornate dalla fine i viola erano rischiavan­o ancora la B e dovevano incontrare il Napoli, che con un pareggio sarebbe avrebbe vinto il titolo.

Ecco, quello è uno dei pochissimi momenti da ricordare per via della rete dell’uno a uno, dopo che i partenopei erano passati in vantaggio con un gol di Carnevale. C’è una punizione dal limite e per batterla vanno Antognoni e Baggio, rientrato un paio di settimane prima a San Siro contro l’Inter. Il vecchio ed il nuovo campione a parlottare, quasi un passaggio di consegne, guarda caso con un gol. Batte Baggio e la mette dentro segnando in pratica la fine di un’epoca. Nella settimana successiva infatti arriva l’Atalanta, nessuno lo sa, ma l’unico dieci gioca la sua ultima partita di campionato con quella maglia che all’epoca ancora non si poteva ritirare. Ciao ciao Bersellini e via ad Eriksson, uno che i gol li prendeva, ma che almeno giocava per creare una caterva di occasioni da gol.

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Eugenio Bersellini è nato a Borgo Vor di Varo (Parma) nel 1936

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