La proporzionale e l’Italia che vuole correre
Caro direttore, e se dopo aver letto il suo editoriale di giovedì scorso («Un ritorno pericoloso») e il libro di Zeffiro Ciuffoletti sul sindaco Bogiankino, il suo interlocutore si leggesse anche l’articolo di Pier Luigi Battista («La sindrome dell’anno zero») sul Corriere della Sera dello stesso giorno? Forse non avrebbe più tanto chiare le idee sul rapporto fra efficienza e governabilità, perchè i successi dell’Italia evocata da Battista sono frutto di governi nati con la aborrita proporzionale. La rappresentanza parlamentare delle forze politiche allora era piena e non falsata da artifici elettorali, e i governi, sorretti da una leadership autorevole, si reggevano sul consenso di partiti, che se anche diversi per ispirazione ideologica, erano uniti da una comune visione politica e programmatica. Senza che che ci fosse il bisogno di distorcere la volontà degli elettori «per sapere subito chi avesse vinto», per supplire alla carenza di quei principi che fecero grande quell’Italia ricordata dall’illustre editorialista.
L’Italia del boom non fu merito della legge elettorale proporzionale ma della voglia che il Paese aveva di lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra e anche tanta miseria. Senza distinzione tra italiani di maggioranza o di opposizione. La situazione internazionale e le risorse economiche di cui l’Italia si potette avvantaggiare sostennero quella crescita straordinaria, fondata politicamente sulla lungimiranza di Alcide De Gasperi, la cui visione politica e programmatica non era affatto comune a quella dei suoi agguerriti oppositori e anche di alcuni suoi compagni di strada (e non a caso lui tentò di correggere il sistema elettorale in senso moderatamente maggioritario con una legge che fu bollata come «legge truffa»). Poi arrivarono gli anni della stabilità garantita da un equilibrio che faceva ancora perno sulla Dc ma che assorbiva spinte e controspinte politiche ed elettorali con un assestamento continuo dei rapporti di forza (e delle poltrone) fra i partiti di maggioranza e fra le correnti della stessa Dc, con un susseguirsi continuo di governi, mentre il consociativismo appagava un’opposizione di sinistra incapace di presentarsi come un’alternativa praticabile e gonfiava la spesa pubblica, con il suo corredo di clientelismo e corruzione. Un debito gigantesco, un’eredità davvero molto pesante che la Prima Repubblica ha lasciato, con indubbio stile, alla Seconda, alla Terza e a tutte le Repubbliche che verranno. Non c’è motivo, mi pare, per rimpiangere quella lunga stagione. Che poi la stagione presente produca buoni frutti è tutt’altro che certo. Vediamo.