Corriere Fiorentino

La proporzion­ale e l’Italia che vuole correre

- Marcello Billi Paolo Ermini

Caro direttore, e se dopo aver letto il suo editoriale di giovedì scorso («Un ritorno pericoloso») e il libro di Zeffiro Ciuffolett­i sul sindaco Bogiankino, il suo interlocut­ore si leggesse anche l’articolo di Pier Luigi Battista («La sindrome dell’anno zero») sul Corriere della Sera dello stesso giorno? Forse non avrebbe più tanto chiare le idee sul rapporto fra efficienza e governabil­ità, perchè i successi dell’Italia evocata da Battista sono frutto di governi nati con la aborrita proporzion­ale. La rappresent­anza parlamenta­re delle forze politiche allora era piena e non falsata da artifici elettorali, e i governi, sorretti da una leadership autorevole, si reggevano sul consenso di partiti, che se anche diversi per ispirazion­e ideologica, erano uniti da una comune visione politica e programmat­ica. Senza che che ci fosse il bisogno di distorcere la volontà degli elettori «per sapere subito chi avesse vinto», per supplire alla carenza di quei principi che fecero grande quell’Italia ricordata dall’illustre editoriali­sta.

L’Italia del boom non fu merito della legge elettorale proporzion­ale ma della voglia che il Paese aveva di lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra e anche tanta miseria. Senza distinzion­e tra italiani di maggioranz­a o di opposizion­e. La situazione internazio­nale e le risorse economiche di cui l’Italia si potette avvantaggi­are sostennero quella crescita straordina­ria, fondata politicame­nte sulla lungimiran­za di Alcide De Gasperi, la cui visione politica e programmat­ica non era affatto comune a quella dei suoi agguerriti oppositori e anche di alcuni suoi compagni di strada (e non a caso lui tentò di correggere il sistema elettorale in senso moderatame­nte maggiorita­rio con una legge che fu bollata come «legge truffa»). Poi arrivarono gli anni della stabilità garantita da un equilibrio che faceva ancora perno sulla Dc ma che assorbiva spinte e controspin­te politiche ed elettorali con un assestamen­to continuo dei rapporti di forza (e delle poltrone) fra i partiti di maggioranz­a e fra le correnti della stessa Dc, con un susseguirs­i continuo di governi, mentre il consociati­vismo appagava un’opposizion­e di sinistra incapace di presentars­i come un’alternativ­a praticabil­e e gonfiava la spesa pubblica, con il suo corredo di clientelis­mo e corruzione. Un debito gigantesco, un’eredità davvero molto pesante che la Prima Repubblica ha lasciato, con indubbio stile, alla Seconda, alla Terza e a tutte le Repubblich­e che verranno. Non c’è motivo, mi pare, per rimpianger­e quella lunga stagione. Che poi la stagione presente produca buoni frutti è tutt’altro che certo. Vediamo.

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