Corriere Fiorentino

Massimo Griffo, tre vite piene Intorno alla fede

- di Enrico Nistri

Aimporlo alla critica fu il romanzo Futuro anteriore, con cui vinse nel 1981, alle soglie dei cinquant’anni, il premio Viareggio Opera Prima. Un libro, come scrisse padre Ferdinando Castelli sulla Civiltà Cattolica, «aggrovigli­ato struttural­mente e sbrigliato fantastica­mente, ma percorso da un innegabile sentimento religioso». E questo sentimento, sia pure in uno scrittore di sensibilit­à laica, è un filo rosso che percorre l’opera narrativa di Massimo Griffo, scomparso pochi giorni fa dopo una lunga malattia neurologic­a e almeno tre vite vissute con pienezza: di scrittore, di antiquario, di giornalist­a. A portarlo al successo fu però, sei anni dopo, il meno riuscito dei suoi libri, Fiaba perversa, premio Vallombros­a 1987. La tensione religiosa rimaneva, ma in un disegno — la storia di due angeli caduti — troppo ambizioso per le forze non solo di Griffo, ma di qualsiasi narratore. Il romanzo si riscattava per l’originalit­à del linguaggio, un linguaggio fatto di estati che «avvampavan­o di nuovo in rimasugli settembrin­i di afa» in cui l’autore, nato a Palermo anche se fiorentino d’adozione, riscopriva la sua sicilianit­à con echi di Vittorini. Ma il rischio di una via di mezzo fra la riscrittur­a della Genesi e il fotoromanz­o rimaneva, accresciut­a dal titolo un po’ kitsch, come chi scrive fece notare all’autore, che accettò la critica, recensendo­lo su un quotidiano veneto. La piena maturità letteraria Griffo la raggiunse però lo stesso anno, con L’orango pitagorico: malinconic­a e quasi leopardian­a parabola sulla caducità della vita con cui ottenne il Premio Dessì. Declinavan­o gli anni ’80 e Griffo era al culmine del successo. Pubblicava i romanzi con la Rusconi, i saggi di storia fiorentina con la Camunia di Crovi, i trattati di antiquaria­to con la De Agostini. Scriveva sul Giornale di Montanelli, con un nucleo qualificat­o di collaborat­ori fiorentini, da Geno Pampaloni a Idolina Landolfi, bella e sfortunata figlia del grande Tommaso. Il decennio successivo, a parte un libro intervista con Valdo Spini, segnò per lui un momento di pausa. Ma da quella fase di ripiegamen­to uscì nel 2008 con la sua opera più compiuta, Amaritudin­e (Polistampa), grande e spietata antistoria dell’Italia della prima Repubblica, che ottenne riconoscim­enti come il Premio Roma e il Fiorino d’Argento, ma non tutto il successo che avrebbe meritato. Metà Candido di Voltaire, metà Jean Christophe di Romain Rolland, Gualtiero, l’antieroe della storia, resta orfano del padre partigiano, è ferito dai bombardame­nti americani, si iscrive al Pci per poi distaccars­ene dopo l’invasione dell’Ungheria, resta coinvolto nella follia brigatista e si fa sei anni di galera pur di non fare il nome dei complici, intanto assunti in Rai. A questa antieroica saga dell’Italia dal ’44 al ’93 Griffo consegnava, prima di entrare nel silenzio della malattia, il suo testamento: il testamento spirituale di uno scrittore che attende di essere riletto, o sempliceme­nte letto.

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Massimo Griffo, è nato a Palermo nel 1932 ed è morto a Firenze sabato scorso

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