Sting va in procura a Prato «Non c’entro col caporalato»
L’artista promette anche aiuto a chi è stato sfruttato
Quando ha visto il suo nome accostato all’inchiesta sul caporalato nelle vigne del Chianti Sting non ha perso tempo. Ha chiamato i suoi avvocati italiani e ha chiesto di incontrare i magistrati che stanno portando avanti l’inchiesta a Prato. Così ieri mattina alle 8 Gordon Matthew Thomas Sumner, in arte Sting, si è presentato dai pm Antonio Sangermano e Laura Canovai per spiegare che lui della storia del caporalato non sa assolutamente nulla. «Ho visto il mio nome su alcuni giornali inglesi — ha spiegato con l’aiuto di un’interprete - volevo dare tutte le spiegazioni che servono per fare chiarezza: dello sfruttamento dei profughi non ero a conoscenza». Le indagini hanno rivelato che realmente Sting era all’oscuro di tutto. Alcuni terreni della tenuta il Palagio che Sting possiede a di Figline Valdarno sono stati dati in affitto agli imprenditori Coli di Tavarnelle Val di Pesa, quelli arrestati giovedì scorso con l’accusa di sfruttamento della manodopera clandestina. Il modo in cui veniva gestito il lavoro in quei terreni Sting non poteva saperlo. Era stato il «caporale» Tariq Sikander — l’uomo che ha iniziato a collaborare con gli inquirenti dopo essere stato arrestato a maggio — a raccontare che una quarantina di immigrati che facevano parte dell’esercito di disperati che lavoravano nelle vigne del Chianti a 4 euro l’ora, avevano lavorato anche in alcuni terreni di Sting. Terreni, hanno poi spiegato gli avvocati di Sting Vittorio Chierroni e Simone Nocentini, che «dal marzo 2014 sono nella piena disponibilità della Coli Agricola Montostoli srl e che pertanto non fanno più parte dell’azienda agricola di Sting». Il cantante britannico da anni è impegnato nella difesa dei diritti umani, proprio per questo ha spiegato ieri mattina in procura a Prato che è sua intenzione aiutare gli immigrati sfruttati dai caporali nei terreni che lui aveva affittato all’azienda Coli.