Occhi di donna
Viaggio negli sguardi che hanno stregato il mondo
C’è lo sguardo pietrificante di Medusa, quello seduttivo di Marilyn Monroe e ancora quello che palesa un’anoressia nervosa della santa di Siena, Caterina. Ci sono sguardi di donne, è anzi un viaggio negli sguardi delle donne il nuovo libro di Liliana Dell’Osso, psichiatra e docente all’Università di Pisa, scritto insieme con Barbara Carpita, sua collega ed allieva. Non a caso s’intitola L’abisso negli occhi. Lo sguardo femminile nel mito e nell’arte. Edito da Ets, è un viaggio nelle paure che esso suscita ma anche disvela. In questa pagina pubblichiamo due stralci tratti dal volume che sarà in libreria da venerdì 11 novembre: un focus sullo sguardo di Medusa partendo dalla raffigurazione che ne fece Michelangelo.
Camminando per i corridoi degli Uffizi può capitare di trovarsi, all’improvviso, di fronte alla Medusa di Caravaggio: per alcuni sarà la prima volta, per altri l’ennesima. Ma per quanto si pensi di conoscerne a memoria i tratti, per quante volte si abbia avuto il piacere di percorrere gli ampi spazi del museo, sostenere lo sguardo di quella figura, dipinta più di quattro secoli fa, è ogni volta un’esperienza perturbante. Sarà perché i suoi occhi sembrano continuare a seguire lo spettatore da qualsiasi angolazione, pur non guardandolo mai davvero, o per la suggestione — derivata dal mito — di venire danneggiati sfidando il potere di un’antica divinità caotica oppure perché ci si rende conto che quel volto, che dovrebbe incutere timore, è in realtà esso stesso contratto in un’espressione di terrore. E, sorprendendoci nel trovare paura e disperazione negli occhi di chi dovrebbe incutercene, restiamo perplessi, come costretti a decidere se quella che abbiamo di fronte sia vittima o carnefice. Domanda di grande attualità, sebbene la sua origine si perda nelle profondità del tempo. Il disagio che provoca lo sguardo di una donna è materia di mistero e oggetto di rituali sin dalle origini. (...)
L’inquietante potere attribuito allo sguardo femminile trova il suo acme nel mito di Medusa. Antica divinità marina, insieme alle altre due Gorgoni Steno ed Euriale, sue sorelle, di cui condivideva l’aspetto mostruoso, incarnava una reminiscenza di divinità preolimpiche di una società matriarcale, simbolicamente «sconfitta» dalle nuove divinità patriarcali indoeuropee. Divinità Madre, dunque, assimilabile all’antica dea Neith egiziana. I capelli di serpente, con i quali viene rappresentata, sono un simbolo associato alla saggezza, al potere e alla rinascita. Il sangue stesso di Medusa è dotato di proprietà miracolose di cura, addirittura di resurrezione, e in virtù di esse sarebbe stato offerto in dono ad Asclepio, dio della Medicina, da parte di Atena. Dalle gocce del suo sangue cadute sulla terra, inoltre, sarebbero nati i serpenti che ancora oggi popolano il mondo, elemento del mito che richiama il concetto di fertilità.
Secondo alcuni autori Medusa, un tempo fanciulla bellissima, fu tramutata in una creatura mostruosa da Atena. C’è chi dice che la causa di una simile punizione fosse l’essersi vantata della sua bellezza, peccando di hybris (tracotanza) nel definirla maggiore di quella della dea, oppure che fosse stata punita per aver giaciuto con, o addirittura per essere stata violentata da Poseidone nel tempio di Atena, profanandolo. Ad ogni modo fu trasformata in un mostro orribile, i bei capelli vennero mutati in serpenti, i suoi occhi si fecero spaventosi e capaci di trasformare in pietra chiunque la guardasse. Da gentile fanciulla si trovò ad essere una creatura da distruggere senza pietà, perché incontestabilmente minacciosa. Al di là della resa immaginifica della pietrificazione nel racconto mitologico, potremmo dire che, anche nella vita di tutti i giorni, la spiacevolezza dell’essere osservati dagli altri al di fuori del contesto di una relazione condivisa stia nella consapevolezza dell’essere, in quello stesso momento e sotto quello sguardo, oggettificati, considerati come oggetti inanimati e dunque privi di libertà di azione e di autodeterminazione. Uno sguardo di questo tipo, fattualmente, pietrifica. E se è esattamente questo lo sguardo che l’uomo rivolge alla donna nella società patriarcale, lo sguardo pietrificante, oggettualizzante, di una donna è quanto mai spaventoso: l’esistenza stessa di Medusa è inaccettabile. (...) *** Ma cos’è che pietrifica negli occhi di Medusa? Qual è la minaccia mortale che vi è contenuta? Gli autori gettano un filo interpretativo, intrigante, che ritorna per tutto lo scritto, nell’accostamento fra lo sguardo di Medusa e lo spettro autistico. Inteso in una concezione allargata che va molto al di là della sindrome clinica per comprendere ogni aspetto fondativo della soggettività umana. Fino a proporsi come quintessenza, clinicamente declinata, della fragilità del nostro esistere. Maldiney asseriva che la soggettività umana non è fondata una volta per tutte, ma va costantemente mantenuta, per tutto il corso della vita. Non tutti abbiamo avuto gli stessi materiali costruttivi, né gli stessi mezzi per quest’opera che impegna tutta la nostra vita. E questo ha permesso l’estrema variabilità delle esistenze umane: fra l’una e l’altra e all’interno di ognuna. Ma ne ha determinato anche la fragilità di fronte alle insidie del vivere. Gli occhi di Medusa possono essere considerati una splendida metafora di questa sfida. E il fenotipo autistico allargato (ovvero il broad autism phenotype) si può vedere come la possibile declinazione epidemiologica che registra fratture e inadeguatezze nella fondazione di ogni soggettività. Capace di declinarsi nelle forme gridate proprie delle psicosi. O di tradursi in manifestazioni più sfumate a carico delle strutture personologiche. O in fragilità pronte ad esplodere quando le fondamenta identificative vengano, anche fisiologicamente, a vacillare.
L’abisso negli occhi di Medusa esprime dunque la minaccia mortale, il rischio di perdere il senso di Sé, del vanire della propria soggettività. O perché risucchiati verso l’amorfo e l’indeterminato. O perché così oggettivati da diventare cosa. Sempre comunque azzerati nella capacità di stare in quella posizione che individua l’essere umano: non cosa fra le cose, ma soggetto che ordina, che si pone di fronte alle cose per dar loro una forma. La sua forma.
Il volto, della Gorgone che dovrebbe incutere timore, è esso stesso contratto in un’espressione di terrore