QUELLE TRACCE DI PAPA FRANCESCO
Venne rapido, quasi di fretta, il 10 novembre di un anno fa. A Prato ribadì la sacralità cristiana del lavoro. E, in una città dalla difficile convivenza con i cinesi, ricordò che «non esistono lontani che siano troppo distanti, ma soltanto prossimi da raggiungere». A Firenze invece tuonò contro «l’ossessione del potere», tarlo che corrode anche la Chiesa, spiegò. Gesti e parole forti. Ci si chiede cosa sia rimasto di quella visita di Papa Francesco, la prima in terra toscana. Domanda che può apparire impropria perché la visita di un Papa tocca corde segrete dell’anima dei credenti difficilmente misurabili. Nel caso poi di Papa Francesco il suo passo ha un respiro universale. Lui parla, abbraccia, prega e esorta avendo gli occhi e il cuore rivolti al mondo, non a una singola città. E tuttavia qua e là tracce sono rimaste. A Firenze ad esempio il suo invito a celebrare il Giubileo, osserva Andrea Fagioli, direttore di Toscana Oggi, il settimanale delle diocesi toscane, «è stato vissuto con particolare partecipazione: la visita del Papa ha rafforzato il senso di pietà popolare, la fede semplice, l’essenzialità del Vangelo». A Prato quell’invito all’integrazione è stato raccolto anche dalla società civile. Sabato scorso si è tenuto un convegno che ha coinvolto la diocesi, le istituzioni e le associazioni economiche e che si è concluso con la stipula di un patto di prossimità per Prato. «Al fondo c’è la volontà della diocesi di favorire un dialogo e una coesione tra le varie realtà cittadine, sempre più frammentate», spiega Gianni Rossi, portavoce del vescovo Franco Agostinelli. Più in generale però l’impressione è che l’impatto di Papa Francesco, a quasi quattro anni dalla sua elezione al soglio pontificio, sia più complesso di quanto si possa cogliere in questi segni fiorentini e soprattutto pratesi. Non solo per l’aperto dissenso di figure autorevoli come lo scrittore senese Antonio Socci (in una lettera aperta al Papa lo invita ad evitare «altri passi gravissimi») e del vasto arcipelago delle associazioni del tradizionalismo cattolico. Ma soprattutto per una sorta di obbediente resistenza che gran parte dell’episcopato, delle parrocchie e dell’associazionismo oppone alle parole e ai gesti del Papa argentino.
Luigi Accattoli, storico vaticanista del Corriere della Sera, ha recentemente pubblicato su Il Regno, periodico del progressismo cattolico, un’antologia di giudizi sul Papa da parte di numerosi vescovi da lui raccolti che esprimono sconcerto, disagio, preoccupazione: «Il Papa ci spinge a muoversi: ma dove ci vuole portare?», si chiede un prelato.
E mentre nel mondo cattolico Papa Francesco incontra sì entusiasmo (soprattutto nella base) ma anche non pochi mal di pancia, il popolo progressista e di sinistra lo eleva a icona di riferimento di valori e passioni perdute. «Dopo la vittoria di Trump, Papa Francesco è rimasto nel mondo l’unico leader di sinistra», ha ironizzato (ma non troppo) qualcuno su Facebook. Il paradosso è che nel momento in cui, grazie a Papa Francesco, la Chiesa avrebbe la possibilità di parlare a mondi tradizionalmente lontani esita, non trova la convinzione e il passo adatto al tempo presente smarrito e inquieto. E quasi si lascia avvolgere nell’apatia di una società in cui manca il coraggio affermare valori e scelte forti. Così che mondo cattolico e società civile sono come paralizzati e afoni in mezzo al guado: non sanno indicare più le strade del futuro. Nonostante le sferzate di Papa Francesco.