Corriere Fiorentino

La farinata (incavolata) che annuncia l’inverno

REPORTAGE LUCCA

- Simone Dinelli

È una specie di «sentinella» della stagione fredda in arrivo: quando in tavola c’è un bel piatto di farinata, significa che l’inverno è alle porte. Appartenen­te alla cucina tradiziona­le lucchese, è un primo piatto il cui elemento cardine — oltre ovviamente alla farina di granturco — è la braschetta, termine dialettale che indica un cavolo nero coltivato in Lucchesia sin dall’800 e riconoscib­ile dalle sue foglie molto grandi, strette e lunghe di colore verde scuro e dalle nervature più chiare. La farinata racconta Francesca Fazzi, esperta dell’Accademia della cucina – delegazion­e di Lucca, è un piatto contadino che nasce dal concetto del «riuso», del non buttare via niente tanto caro a molte pietanze della cosiddetta «cucina povera» di un tempo. A seconda della zona viene ribattezza­ta in più modi come ad esempio «intruglia», «infarinata» o «incavolata». «Una caratteris­tica di questa zuppa – spiega Fazzi – è che si abbinava un tempo dal punto di vista temporale al periodo dell’uccisione del maiale. Soprattutt­o in Garfagnana, si era soliti rendere ancora più saporita la ricetta aggiungend­o brodo di biroldo o cotechino, molto grasso e altrimenti inutilizza­bile. Insomma, il segreto di questo piatto è il suo esser sostanzios­o, da accompagna­re rigorosame­nte con un bicchiere di vino. A Lucca su questo aspetto c’è un detto che rende bene l’idea: «Chi mangia la farinata e beve l’acqua, alza la gamba e la farinata scappa». Nel centro storico, di fronte al Mercato del Carmine c’è la Trattoria Da Gigi: aperta sin dagli anni ‘60, da 13 anni porta avanti il solco della cucina tipica lucchese e toscana affidandos­i all’esperienza di Carmine Mariniello. «Da noi — spiega — le zuppe tipiche lucchesi scandiscon­o i ritmi delle stagioni: la farinata ad esempio è presente in carta dal 14 settembre, giorno di Santa Croce (la ricorrenza religiosa più sentita e amata dai lucchesi, ndr) e ci rimane sino all’inizio del mese di aprile, quando poi subentra la garmugia. La farinata si prepara partendo mettendo a lessare in una padella fagioli di Saluggia o di Sorana, togliendo poi i borlotti e mantenendo il brodo, cui si aggiunge un soffritto di sedano, carote, aglio, rosmarino e prezzemolo tritato e preparato a parte. Completata questa prima fase, necessaria per aromatizza­re gli ingredient­i, è la volta della braschetta unita assieme ad altre verdure, alle patate e ai fagioli inizialmen­te accantonat­i; tutto questo viene poi messo a cuocere a fuoco lento per 2 ore. Al termine la zuppa va raffreddat­a prima dell’aggiunta finale della farina, rigorosame­nte formenton 8 file della Garfagnana, che va rumata a lungo con le verdure per amalgamare il tutto per evitare la formazione di grumi; un goccio d’olio e il piatto è pronto. Da noi la farinata viene servita anche come antipasto che consiste nel mettere in frigorifer­o la purea ottenuta per farla diventare solida, prima di rivestirla con una seconda passata di farina che le dona una doratura esterna per poi metterla a friggere, tagliarla a servirla a pezzi». A San Macario in Piano, nell’Oltreserch­io, c’è da 10 anni il ristorante Il Ciancino, gestito da Andrea Cortopassi e sorto in un locale attiguo alla storica macelleria di famiglia aperta nel 1923: ai fornelli ci sono le sapienti mani di Laura Coturri, mamma di Andrea, che racconta la «sua» farinata: «Da noi si può trovare tutto l’anno pur essendo una ricetta stagionale. Si parte da un brodo di fagioli con un’aggiunta di cotenna di prosciutto per renderlo più saporito. Dopo di che si preparano due pentole con da una parte verdure come la braschetta, e dall’altra erbette che raccolgo personalme­nte nei campi. Una volta completata la loro cottura, si uniscono assieme al brodo e si aggiunge la farina gialla come ultimo passaggio. Per avere una buona farinata almeno 3-4 ore di tempo, trattandos­i di un piatto semplice ma al tempo stesso bisognoso di cura e attenzione». Spostandoc­i a Vorno, nel comune di Capannori, si trova infine A Bimbotto, oggi ristorante ma sin dall’inizio del ‘900 attività commercial­e con bar, alimentari e tabacchi. «E che trae la sua denominazi­one — spiegano i titolari — dal soprannome di un nostro bisnonno». Imperativo del locale è la cucina tipica lucchese ed è per questo che in carta, anche qui, non può mancare una farinata coi fiocchi.

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 ??  ?? Carmine Mariniello (Trattoria Gigi)
Carmine Mariniello (Trattoria Gigi)
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Andrea Cortopassi e Laura (Il Ciancino)

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