I mecenati del tabernacolo
È del Naldini, collaboratore del Vasari, il dipinto restaurato da Jack e Marianne Ferrero Ora da via dei Corsi è stato trasferito nella vicina chiesa di San Gaetano. La storia e la scoperta
Stava lì, in un tabernacolo di via dei Corsi almeno da fine ‘800, anche se non per quella nicchia era stato dipinto a metà dal ‘500 da Giovanni Battista Naldini: è un olio su tavola che rappresenta una Crocifissione — ai piedi della croce ci sono un San Francesco e forse un San Benedetto — e lo vedremo ripulito e restaurato dal 29 dicembre nella chiesa di san Gaetano in piazza Antinori, mentre nel tabernacolo verrà posta una copia fotografica firmata da Massimo Listri. Fin qui il dato di cronaca scarno che parla di un piccolo tassello a favore del recupero di un pezzo d’arte a Firenze. Un dato che cela però una storia appassionante perché unisce idealmente il pittore manierista fiorentino a una coppia di mecenati americani le cui radici affondano anche in Sicilia e in Svezia. Il restauro è stato infatti sostenuto da Jack e Marianne Ferrero, coniugi statunitensi (di origini siciliane lui, svedesi lei) che trascorrono a Firenze almeno cinque mesi l’anno in un appartamento del club Tornabuoni. Una casa il cui soggiorno si affaccia proprio sul tratto di via dei Corsi dove, sino al 2013, era esposto il tabernacolo con la Crocifissione del Naldini. «Ci affacciavamo qui tutti i giorni e vedevamo questo Crocifisso — racconta Jack — a un certo punto è stata mia moglie Marianne a dirmi di fare qualcosa per quella tavola. “Potremmo finanziarne il restauro in memoria di tua nonna” mi disse. Mi nonna si chiamava Crocifissa ed era siciliana”». Da lì è partita una lunghissima trafila che va a concludersi a fine mese e che restituisce l’opera alla città, anche se non nella sua collocazione originaria. E questo con l’avallo della Soprintendenza. «Il restauro è stato eseguito dagli allievi della scuola Saci con la supervisione di Roberta Lapucci — prosegue Jack — ed è stato in corso d’opera che ci si è resi conto che l’opera era attribuita a Naldini». «Una scoperta – aggiunge Marianne – che mi ha emozionata. Pensi che avevo da poco visto le sue opere in Santa Maria Novella».
E qui va fatta una piccola digressione sul pittore. Era questo Naldini un nocentino. Il padre, Matteo, che di mestiere faceva il calzolaio, e non se la passava tanto bene, lo affidò all’Istituto degli Innocenti quando il piccolo aveva solo pochi anni. A 12 anni, però, Battista, grazie all’interessamento del suo mecenate più assiduo, naviga già per altri lidi. Vincenzo Borghini, monaco benedettino e rettore dell’istituzione nata per proteggere gli orfani, prese tanto a benvolere il piccolo Giovanbattista che, vedendolo di matita veloce, forte delle sue amicizie nel mondo dell’arte, lo mandò a bottega da Jacopo Pontormo. Qualcuno ipotizza che tra allievo e maestro possa esserci stato anche del tenero e lo desume dal fatto che è lo stesso Pontormo nel suo Diario ad annotare dimostrando certa insofferenza per il fatto che il giovane non avesse dormito da lui: «El mio Battista andò di fuora la sera e sapeva che io mi sentivo male, e non tornò, talché io l’arò tenere a mente sempre». Comunque sia, qualunque fosse la natura dei rapporti tra i due, per il giovanetto stare a bottega da cotanto maestro gli fu proficuo. Dopo questa esperienza lavorò con Vasari alle decorazioni del Salone dei Cinquecento, e anche all’apparto effimero per le nozze di Francesco I e Giovanna d’Austria. Fu autore dell’Allegoria dei Sogni e della Pesca della Balena nello studiolo di Francesco I, anche se le opere per cui è più noto sono la sua Deposizione, la Natività e la Presentazione di Gesù al Tempio in Santa Maria Novella. Quelle stesse che a più di 400 anni di distanza hanno colpito Marianne.
Tra una cosa e un’altra al Naldini riuscì di realizzare anche questo tabernacolo che, stando a quanto registrava Ennio Guarnieri nel volume sulle Strade di Firenze dedicato ai tabernacoli, fino alla fine dell’ 800 insisteva in un edificio all’incrocio tra via dei Conti e via Zannetti di proprietà dei Martelli. Fu quando i Martelli vendettero le loro case in quell’edificio che il tabernacolo, con la sua Crocifissione, fu spostato in via dei Corsi, non a caso su una delle pareti esterne della chiesa di San Gaetano al cui interno una cappella è dedicata proprio ai Martelli. E qui si chiude il cerchio e si torna all’oggi e a un restauro durato un paio d’anni che ha richiesto interventi sulla base lignea e sulla superficie pittorica danneggiate per infiltrazioni di umidità e per alcuni ritocchi apportati nei secoli. E a un trasloco, dalla via alla chiesa, che, se sicuramente non esporrà il volto dolce e mansueto del Cristo in croce alle intemperie e alle infiltrazioni d’acqua come nei secoli passati certamente non risolve il problema della proprietà dell’opera. Se questa apparteneva ai Martelli oggi, trovando ricovero in chiesa, passerà nel novero dei beni della chiesa? La domanda è aperta.
Che emozione quando ci hanno detto che l’opera era di questo pittore del ‘500