NASCITA, SPLENDORE E RESA DEL BICAMERALISMO SENESE
LA STORIA
«Purtroppo ce l’ha fatta a metà!». «Che vuol dire a metà ? O si vince o si perde e il Monte non ce l’ha fatta a raccogliere quanto era progettato. Ma sai che ti dico? Con lo Stato dentro io mi sento più sicuro».
Battute smozzicate, colte al volo tra due attempati obbligazionisti che si sono rassegnati a convertire in azioni il frutto di risparmi accantonanti a fatica.
Talmente compenetrata con la storia del Monte è stata la dimensione istituzionale e pubblica della sua presenza che in un momento tanto drammatico la speranza riemerge vestendo i panni del Tesoro, assai meno esotici di quelli del fantomatico fondo sovrano qatarino che si è, a quanto sembra, dileguato. Le forme per superare la crisi sono allo studio e non sarà semplice metterle a punto. Se transitorie e tese a rilanciare una banca risanata non saranno un ritorno all’indietro. Altrimenti rischieranno di tradursi in una mossa che puzza di datato assistenzialismo. Chi tra i senesi ha guardato con diffidenza la trasformazione — nel 1995 — del benemerito Istituto di credito di diritto pubblico in Società per azioni fa risalire a quella maldigerita svolta l’origine di tutti i guai. Chi pretende un’analisi non deformata da pigre nostalgie rifiuta una visione che non entri nel merito delle strategie adottate e delle enormi responsabilità del management: un errore dietro l’altro in una catena che arriva fino a ieri e non coinvolge solo il ceto dirigente espresso dalla città.
A ripensare le vicende che hanno portato dal Monte Pio fondato nel 1472 al complicato salvataggio di oggi tornano alla ribalta figure e fatti che pungolano la riflessione. Resta celebre l’esclamazione che un probo impiegato gridò in faccia al ministro Grimaldi, in visita alla Rocca Salimbeni mentre infuriavano gli scandali bancari di fine Ottocento: «Qui al governo si usa sempre rispondere vade retro Satana!». Erano parole piuttosto eloquenti che esorcizzavano l’intromissione della politica negli affari della banca e nella sua etica civile. Ma, a ben vedere, erano un grido d’accusa solo verso una politica centralistica e manovriera. In realtà il Monte dei Paschi, e non soltanto dopo che aveva messo insieme i suoi filoni di attività nei Monti riuniti, aveva costantemente ricercato di reggersi ed espandersi favorendo un positivo equilibrio tra interventi a beneficio del suo storico territorio d’insediamento e sostegni su larga scala di risonanza nazionale. Non c’è opera di pubblica utilità che non sia debitrice della munificenza della Deputazione della banca, che ricopriva un po’ il ruolo di seconda Camera. Il Comune domandava e alla Rocca si decideva in una strana dialettica da bicameralismo municipale. Del resto il Monte che, su concessione del Granduca Cosimo I, prese a funzionare nel 1625, ci tenne a inscrivere nel suo statuto le motivazioni che erano state alla base del «lontano progenitore», come notò Armando Sapori. Il rapporto con il Comune, che eleggeva gli otto governanti della banca, fu simbiotico. E tutto si può dire fuorché non fosse toccato dalla volontà di un’élite aristocratica che seppe conciliare il proprio dominio con la sensibilità popolare e la sua voglia di elevamento. Certo: il restauro dei monumenti o una preveggente tutela del patrimonio artistico ebbero la meglio su programmi sociali di segno progressista. Il Monte fu garanzia di continuità. Non mancarono collusioni col regime fascista che in cambio riStato Il coro degli alunni delle elementari senesi in piazza Salimbeni durante il Cda della banca (foto Cinotti) conobbe un atipico grado di autonomia. Negli anni del miracolo economico un calibrato consociativismo avallò logiche di spartizione: se la Dc mantenne sempre la presidenza i componenti della Deputazione erano «lottizzati», in modo che gli interessi dell’antico avessero rappresentanza accanto a disegni talvolta molto discutibili e spregiudicati voluti da Roma. Non mancarono episodi gravi che ora l’idealizzazione dei bei tempi andati ha per i più cancellato. Dalla metà degli anni Ottanta il sistema scricchiola. Le logiche di una finanza occulta — formula semplificatrice — tendono a sovrastare le mediazioni sagge della politica. Le conclusioni di questo processo sono ben note. Si tentò tramite la posizione maggioritaria della Fondazione Mps nelle azioni della banca di salvaguardare la proprietà. E sconsiderati sogni di grandeur spinsero ad acquisizioni condotte senza criteri minimi di prudenza, ubbidendo a pressioni non solo romane. Nessuno ebbe il coraggio di ripetere un severo vade retro Satana.
Il destino del Monte cambia alla radice. Inizia un terzo tempo, tutto da giocare, con regole nuove e diktat intempestivi, imperiosi, globali. I ragazzini che due giorni fa cantavano in piazza Salimbeni i motivi natalizi mentre si svolgeva il Cda simboleggiavano un attaccamento che va al di là di ogni convenienza.Tra i fulminanti scambi di battutacce che traversano le vie della città colpita dal rientro in grande stile — per quanto? — di capitale pubblico alla guida del Monte uno merita di essere trascritto: «Mi sembra il gioco dell’oca, grandi giri per tornare alla casella di partenza». «Con lo Stato padrone della metà del malloppo ricompare la mezzadria». Una mezzadria di ritorno?
I canti di 300 ragazzini in piazza Salimbeni hanno simboleggiato un attaccamento che va oltre ogni convenienza