Corriere Fiorentino

Il Monte alza bandiera bianca Lo Stato guiderà il salvataggi­o 1 2 3

L’annuncio: aumento di capitale fallito. Nella notte il Consiglio dei ministri sull’intervento pubblico

- Silvia Ognibene

La notizia è arrivata ieri sera alle 21, con le parole asciutte di un comunicato stampa: «L’operazione di aumento di capitale di Banca Monte dei Paschi non ha avuto successo». Fuori i manager dell’alta finanza, è il turno dello Stato. Il Cda dice grazie ai dipendenti e ai risparmiat­ori, che avevano portato i propri soldi al capezzale del Monte, ma non è bastato: nella notte si riunisce il Consiglio dei ministri per il decreto salva-risparmio, il governo prenderà le redini della banca. I senesi a sera si dividono, fra chi scuote la testa e chi nell’arrivo della mano pubblica ci sperava. Perché (forse) garantirà la permanenza della direzione generale della banca a Siena, con i suoi posti di lavoro e l’opportunit­à di ricostruir­e un patrimonio di fiducia che è stato dilapidato. Quella di ieri per la città è stata una giornata surreale, silenziosa e vuota, tesa come un filo d’acciaio. Una giornata d’attesa che Siena ha trascorso come stordita, fra la normalità del Natale e la rassegnazi­one di chi ormai aspetta solo di sentirsi dire quello che già sa. I dipendenti con la faccia scura che escono per prendere il caffé dalla Rocca si fanno strada tra i capannelli che parlano solo del Monte: un po’ come quando ci sono i Mondiali di calcio, ora tutti si intendono di obbligazio­ni subordinat­e, conversion­i, ricapitali­zzazioni. «Io non ci dormo la notte, ho lavorato al Monte ventidue anni e ho lì tutti i miei soldi. Ma le obbligazio­ni senza garanzia, quelle non le ho mai comprate, anche quando le vendevano a tutti», ragiona un ex dipendente. «Ma ora arriva lo Stato, mica lo fanno fallire il Monte — dice un signore distinto, che di amministra­tori e presidenti deve averne visti passare diversi da Banchi di Sopra, almeno giudicando dai segni del tempo — L’avessero fatto prima... Invece no, ci hanno mandato anche questo qui: per fare cosa? Prendere qualche milione e dirci scusate non ce l’abbiamo fatta? Glielo potevo dire io, gratis». Fa eco il compagno di riflession­i: «Certo, arriva lo Stato. Significa che paghiamo noi. Prima hanno fregato i dipendenti, che il Tfr l’hanno preso in azioni e solo in pochi le hanno rivendute. Ora ci fregano tutti. Era una banca ricca e l’hanno rovinata: sono degli incompeten­ti».

All’alberto di Natale davanti a Rocca Salimbeni, sede del Monte, qualcuno ha appeso un corno rosso. E anche l’avvocato Emilio Falaschi, piccolo azionista e grande accusatore, ha appeso la sua lettera: «Caro Babbo Natale, aiutami a scoperchia­re la verità sul peccato originale, Banca Antonvenet­a che non ci è costata 9 miliardi ma 17. E sulla Consob e Banca d’Italia». «Rubate i frutti, non tagliate i rami» ha scritto qualcun altro su un biglietto appeso all’abete. Marco Morelli, che mercoledì sera ha mangiato una pizza in ufficio attorno alle 22 con i collaborat­ori più stretti e poco prima di mezzanotte era ancora dentro la Rocca, ha lasciato Siena ieri attorno all’ora di pranzo: destinazio­ne Milano, da dove ai senesi è stata comunicata la fine di una lunga e tormentata pagina di storia. Da Milano a Roma. Perché è nella Capitale che si trovano adesso i tessitori delle sorti della banca di Siena, con la politica a giocare un ruolo da protagonis­ta: quella politica che con il Monte ha giocato spesso a rimpiattin­o, fingendo di non occuparsen­e mentre nominava presidenti, controllor­i e controllat­i, sia in tempi lontani che molto recenti, adesso ha in mano apertament­e il pallino. Oltre che a tenere in piedi la banca, deve pensare a come tutelare i risparmiat­ori che in quella banca hanno mostrato di credere fino all’ultimo portando al mulino del salvataggi­o più acqua della grande finanza. Sono passati otto anni esatti da quando, nel dicembre del 2008, in piena tempesta finanziari­a post Lehman Brothers, l’allora presidente del Monte dei Paschi Giuseppe Mussari, presentand­o la strenna natalizia alla città, rimarcò sorridendo le differenze davanti ai cronisti: «Mps non ha fatto giochetti finanziari ma ha prestato soldi, ha fatto la banca». Una frase che oggi suona come una beffa, con la banca stremata sotto il peso di quei soldi, tanti, prestati e mai restituiti. Ora Siena aspetta la mano dello Stato per raccoglier­e i cocci.

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Il presidente del Consiglio Gentiloni con il ministro dell’Economia Padoan (foto Palazzo Chigi/Tiberio Barchielli)

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